C’è qualcosa di sottilmente spaventoso nella musica dei Radiohead. Come una vibrazione che sfiora l’interno dello stomaco. E lo mette in allerta. Un segnale che raggiunge profondità che solo da bambino sapevo scandagliare con la lucidità necessaria. Le cuffie avvolgenti che la Francese mi ha regalato durante il nostro viaggio giapponese non possono che amplificare la paura, innescare reazioni di autodifesa, mettere in moto le reazione di un felino a un pericolo imminente. Senza che un occhio esterno possa percepirne il minimo movimento.
Lei sta viaggiando e tra meno di mezz’ora il suo eurostar entrerà nella stazione di Santa Maria Novella. Firenze. La notte e le nuvole, quassù, sono scese a chiudere lo spazio di cielo che corre sopra la valle. E’ come se in questo momento esistesse solo la luce di questo soggiorno, lo schermo del mio portatile, il vaso sul tavolo con la tovaglia rossa, il quadro della strada d’accesso a Port Bail, Fake plastic trees dei Radiohead a riempire il resto dello sguardo.
E’ stato un weekend pieno di volti, di sorrisi e di voci. Ma anche, come al solito, di intimità.
Giovedì sera, dopo aver giurato e spergiurato che non ci saremmo più caduti, è successo di nuovo. Prima del Giappone detestavo il wasabi. Ora non ne posso fare a meno, il nigiri senza uno sbaffo di wasabi non è che un’imitazione sdilinquita di un tentativo di sushi. Non avrei mai immaginato di arrivare a fare una dichiarazione di questo genere. Eppure. Il wasabi mi ha aperto nuovi canali di respirazione e qualche chakra tra gola e naso che prima del viaggio a oriente nemmeno immaginavo di possedere. Peccato che una ventina di ultratrentacinquenni con il cervello oltre la scadenza abbia deciso di trasformare il ristorante sino-thai-giapponese di Aosta in una specie di baccanale in nome di una di quelle occasioni (addio al celibato) socialmente utilizzate per violare qualunque regola di buon comportamento in pubblico. Occasione persa, da parte del simpatico A., di tutelare la tranquillità dei suoi clienti collocando la schiamazzante compagnia nel piano interrato. Passerà del tempo prima di tornarci. Davvero troppi 67 euro per dover fuggire da un locale chiassoso oltre ogni limite senza nemmeno un caffé, un servizio insolitamente lento, una quantità di sushi e sashimi che non dà sazietà.
Venerdì. Che bella giornata venerdì. Grandine, pioggia, vento e tempesta. Tanti amici attorno a questo tavolo, pigiati in questo soggiorno. E un barbeque che non si è arreso di fronte all’imperversare delle terrificanti condizioni climatiche. Enormi quantità di spiedini, lonze e salcicce sono planate sui piatti, il tavolo di riserva ha moltiplicato la sua apertura fino a undici coperti e tutto, proprio tutto, è filato liscio come un pistone in un cilindro, nonostante una mia certa sottovalutazione dell’impresa, ma grazie all’organizzazione e all’inventiva risolutiva delle donne che hanno festosamente popolato questa casa per un giorno come in un vecchio film di Virzì.
Imperdibile il gran finale, con tutti quei nasi dentro le scodelle ricolme di anguria e vodka alla fragola…
Sabato invece è iniziato lento, con una lunga colazione a due, in giardino, sotto il sole del mattino che scalda il viso. E poi giù, la Poderosa a rotta di collo lungo le strade che dominano la città dall’alto, per un pranzo familiare nella vecchia casa che fu del nonno veneto in quella che i francesi chiamano la Rive Droite e che qui si ostinano a chiamare Envers (il lato freddo, ombreggiato, umido, alluvionale della valle, quello che se scavi in cantina trovi la sabbia del fiume, quello con l’inverno più lungo e i prezzi più bassi, il rovescio, appunto, quello dell’ultima immigrazione des italiens in questa versione occidentale di valle dell’Iya che il '900 industriale ha trasformato da terra di spopolamento ad approdo di nuove energie).
Pomeriggio di rapido shopping (la Francese ha sostituito le scarpe abbandonate in Giappone con delle fiammanti newbalance tendenti al giallo) e serata in barmé. Sì, barmé, quelle cantine a temperatura quasi costante ricavate nella roccia spiovente contro cui è addossato il paese di Villeneuve. Assaggia qui assaggia lì, a rimorchio di quel Virgilio del mio fratellone con fidanzata, che lassù, in quel paese roccioso, giocavano in casa e che in ogni cantina, pardon, barmé, avevano qualcuno da presentarci. Gran vino, però, gran bei produttori, i valdostani, vinicoltori eroici, a spremere uva sui vigneti più alti d’Europa, a strappare terra alla montagna, a produrre non più che una goccia a confronto dei fiumi di vino che i piemontesi sanno ricavare. Goccia raffinata e sapiente.
E domenica sonnolenta. Ancora colazione in giardino e poi passeggiata lungo i sentieri che s’intrecciano sopra questo paese talmente piccolo che chiamano Planet, uno dei più piccoli del sistema solare.
E infine la partenza. Uguale a tutte le altre. L’autostrada, il moderato traffico del rientro, il gelato a Santhià, già vercellese, già pianura a perdita d’occhio, il treno puntuale, i baci che salutano, le carezze che promettono.
Lei sta viaggiando e tra meno di mezz’ora il suo eurostar entrerà nella stazione di Santa Maria Novella. Firenze. La notte e le nuvole, quassù, sono scese a chiudere lo spazio di cielo che corre sopra la valle. E’ come se in questo momento esistesse solo la luce di questo soggiorno, lo schermo del mio portatile, il vaso sul tavolo con la tovaglia rossa, il quadro della strada d’accesso a Port Bail, Fake plastic trees dei Radiohead a riempire il resto dello sguardo.
E’ stato un weekend pieno di volti, di sorrisi e di voci. Ma anche, come al solito, di intimità.
Giovedì sera, dopo aver giurato e spergiurato che non ci saremmo più caduti, è successo di nuovo. Prima del Giappone detestavo il wasabi. Ora non ne posso fare a meno, il nigiri senza uno sbaffo di wasabi non è che un’imitazione sdilinquita di un tentativo di sushi. Non avrei mai immaginato di arrivare a fare una dichiarazione di questo genere. Eppure. Il wasabi mi ha aperto nuovi canali di respirazione e qualche chakra tra gola e naso che prima del viaggio a oriente nemmeno immaginavo di possedere. Peccato che una ventina di ultratrentacinquenni con il cervello oltre la scadenza abbia deciso di trasformare il ristorante sino-thai-giapponese di Aosta in una specie di baccanale in nome di una di quelle occasioni (addio al celibato) socialmente utilizzate per violare qualunque regola di buon comportamento in pubblico. Occasione persa, da parte del simpatico A., di tutelare la tranquillità dei suoi clienti collocando la schiamazzante compagnia nel piano interrato. Passerà del tempo prima di tornarci. Davvero troppi 67 euro per dover fuggire da un locale chiassoso oltre ogni limite senza nemmeno un caffé, un servizio insolitamente lento, una quantità di sushi e sashimi che non dà sazietà.
Venerdì. Che bella giornata venerdì. Grandine, pioggia, vento e tempesta. Tanti amici attorno a questo tavolo, pigiati in questo soggiorno. E un barbeque che non si è arreso di fronte all’imperversare delle terrificanti condizioni climatiche. Enormi quantità di spiedini, lonze e salcicce sono planate sui piatti, il tavolo di riserva ha moltiplicato la sua apertura fino a undici coperti e tutto, proprio tutto, è filato liscio come un pistone in un cilindro, nonostante una mia certa sottovalutazione dell’impresa, ma grazie all’organizzazione e all’inventiva risolutiva delle donne che hanno festosamente popolato questa casa per un giorno come in un vecchio film di Virzì.
Imperdibile il gran finale, con tutti quei nasi dentro le scodelle ricolme di anguria e vodka alla fragola…
Sabato invece è iniziato lento, con una lunga colazione a due, in giardino, sotto il sole del mattino che scalda il viso. E poi giù, la Poderosa a rotta di collo lungo le strade che dominano la città dall’alto, per un pranzo familiare nella vecchia casa che fu del nonno veneto in quella che i francesi chiamano la Rive Droite e che qui si ostinano a chiamare Envers (il lato freddo, ombreggiato, umido, alluvionale della valle, quello che se scavi in cantina trovi la sabbia del fiume, quello con l’inverno più lungo e i prezzi più bassi, il rovescio, appunto, quello dell’ultima immigrazione des italiens in questa versione occidentale di valle dell’Iya che il '900 industriale ha trasformato da terra di spopolamento ad approdo di nuove energie).
Pomeriggio di rapido shopping (la Francese ha sostituito le scarpe abbandonate in Giappone con delle fiammanti newbalance tendenti al giallo) e serata in barmé. Sì, barmé, quelle cantine a temperatura quasi costante ricavate nella roccia spiovente contro cui è addossato il paese di Villeneuve. Assaggia qui assaggia lì, a rimorchio di quel Virgilio del mio fratellone con fidanzata, che lassù, in quel paese roccioso, giocavano in casa e che in ogni cantina, pardon, barmé, avevano qualcuno da presentarci. Gran vino, però, gran bei produttori, i valdostani, vinicoltori eroici, a spremere uva sui vigneti più alti d’Europa, a strappare terra alla montagna, a produrre non più che una goccia a confronto dei fiumi di vino che i piemontesi sanno ricavare. Goccia raffinata e sapiente.
E domenica sonnolenta. Ancora colazione in giardino e poi passeggiata lungo i sentieri che s’intrecciano sopra questo paese talmente piccolo che chiamano Planet, uno dei più piccoli del sistema solare.
E infine la partenza. Uguale a tutte le altre. L’autostrada, il moderato traffico del rientro, il gelato a Santhià, già vercellese, già pianura a perdita d’occhio, il treno puntuale, i baci che salutano, le carezze che promettono.
5 commenti:
SIIIIII!! sono a casa, mio fidanzato dal palato wasabidipendente e dal Giappo-Chakra spalancato!
:)
:-))) un bacio che vola attraverso l'etere, i ripetitori, le centrali, i cavi coassiali, il doppino di rame, il modem, il mac, fino a te.
pressoooo!!
:)
entro nell'intimità dei vostri commenti per dirvi che io sul wasabi ci ho tutta una teoria, che ho elaborato un lungo rituale di degustazione suddiviso in zone linguali e che io pure, dopo aver detestato la macrobiotica, oggi mi accingo a cucinare zucca con la buccia...
con la buccia Lucillì? ma credevo che la zucca svuotata servisse per raccogliere quei residui che in fattoria depositavi nel boschetto.. :-p
ma del macrobiotico non so nulla e del wasabi, devo ammetterlo, sono ancora un tiepido neofita
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