Al culmine della mia mania per le liste, ecco qui una lista promemoria delle cose che voglio vedere, chissà quando, ma prima o poi...
Mancato il proposito di limitarsi all'italia...
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lunedì 9 luglio 2012
Questo lo voglio vedere! #1
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giovedì 23 dicembre 2010
Blog to blog: La cucina di Calycanthus
Ammetto la mia colpa: sono malata di blog!
Non solo quelli che scrivo e che desidererei scrivere ed invece lascio lì a vegetare, ma tutti quelli che leggo! Troppi! ...si instaura poi una rete di conoscenze, di condivisione di letture, di opinioni, di ricette che ti accerchia e ti imprigiona, piacevolmente ovviamente, e che viene sempre con te, perché la rete è democratica e sta ovunque.
Non ho potuto che cogliere al volo l'offerta di giveaway di Comidademama, il blog di Elena che seguo assiduamente e dal quale ho attinto diverse volte ricette gustose e anche suggerimenti di visita e/o viaggio (il nostro vate nel tour di Amsterdam e l'Olanda insieme al Cavoletto!). Ebbene il contest (se così i può chiamare, a termini tecnici sono un po' scarsa) offre 4 dei preziosi libri di cucina de La Cucina di Calycanthus in cambio di un semplice commento. Ovviamente è a insindacabile giudizio della promotrice la scelta tra i 4 più significati. Non ho ambizioni di vittoria, ma volevo segnalare questa miscellanea interessante di foto, ricette, curiosità e idee di buon gusto e originali che sono Maite, Marie e il Fotografo.
Per averne un assaggio diretto guardate il mio post preferito: Pic Nic in Bianco a Villa Pamphili. ...anche se il mio commento non appare ancora, magari mi ha bannato, mi sa che ho scritto Panphili con la n.
^_____^
Non solo quelli che scrivo e che desidererei scrivere ed invece lascio lì a vegetare, ma tutti quelli che leggo! Troppi! ...si instaura poi una rete di conoscenze, di condivisione di letture, di opinioni, di ricette che ti accerchia e ti imprigiona, piacevolmente ovviamente, e che viene sempre con te, perché la rete è democratica e sta ovunque.
Non ho potuto che cogliere al volo l'offerta di giveaway di Comidademama, il blog di Elena che seguo assiduamente e dal quale ho attinto diverse volte ricette gustose e anche suggerimenti di visita e/o viaggio (il nostro vate nel tour di Amsterdam e l'Olanda insieme al Cavoletto!). Ebbene il contest (se così i può chiamare, a termini tecnici sono un po' scarsa) offre 4 dei preziosi libri di cucina de La Cucina di Calycanthus in cambio di un semplice commento. Ovviamente è a insindacabile giudizio della promotrice la scelta tra i 4 più significati. Non ho ambizioni di vittoria, ma volevo segnalare questa miscellanea interessante di foto, ricette, curiosità e idee di buon gusto e originali che sono Maite, Marie e il Fotografo.
Per averne un assaggio diretto guardate il mio post preferito: Pic Nic in Bianco a Villa Pamphili. ...anche se il mio commento non appare ancora, magari mi ha bannato, mi sa che ho scritto Panphili con la n.
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venerdì 9 ottobre 2009
Segna•L'•Azione: Hopper a Milano, 15 ottobre/31 gennaio
La prima grande mostra di Edward Hopper in Italia.
MILANO, PALAZZO REALE
15 OTTOBRE 2009 - 31
GENNAIO 2010
a cura di: Carter Foster
In collaborazione con il Whitney Museum of American Art, New York
Roma, Fondazione Roma Museo,
16 febbraio -13 giugno 2010
Losanna, Fondation Hermitage,
24 giugno - 17 ottobre 2010
giovedì 24 settembre 2009
Mi ci porti?
Mi piacerebbe tanto!
Lo so che siamo sempre a giro, che non ci riposiamo mai!
...Dillo a me! lo scorso week-end mi sono fatta ben due matrimoni, che poi sono sempre in mezzo ai festival e alle fiere ecc, ma questo mi piacerebbe proprio!
sabato 25 ottobre 2008
A Roma con il cuore!
martedì 8 maggio 2007
Ceneri
da Le ceneri di Gramsci.
(di Pier Paolo Pasolini)
(di Pier Paolo Pasolini)
Non è di maggio questa impura aria
che il buio giardino straniero
fa ancora più buio, o l'abbaglia
con cieche schiarite... questo cielo
di bave sopra gli attici giallini
che in semicerchi immensi fanno velo
alle curve del Tevere, ai turchini
monti del Lazio... Spande una mortale
pace, disamorata come i nostri destini,
tra le vecchie muraglie l'autunnale
maggio. In esso c'è il grigiore del mondo,
la fine del decennio in cui ci appare
tra le macerie finito il profondo
e ingenuo sforzo di rifare la vita;
il silenzio, fradicio e infecondo...
Tu giovane, in quel maggio in cui l'errore
era ancora vita, in quel maggio italiano
che alla vita aggiungeva almeno ardore,
quanto meno sventato e impuramente
sano
dei nostri padri - non padre, ma umile
fratello - già con la tua magra mano
delineavi l'ideale che illumina
(ma non per noi: tu morto, e noi
morti ugualmente, con te, nell'umido
giardino) questo silenzio. Non puoi,
lo vedi?, che riposare in questo sito
estraneo, ancora confinato. Noia
patrizia ti è intorno. E, sbiadito,
solo ti giunge qualche colpo d'incudine
dalle officine di Testaccio, sopito
nel vespro: tra misere tettoie, nudi
mucchi di latta, ferrivecchi, dove
cantando vizioso un garzone già chiude
la sua giornata, mentre intorno spiove.
(...)
Ci siamo andati a Testaccio in un giorno di (quasi) maggio,
a onorare le ceneri di Gramsci.
Avevamo con noi i biglietti del treno, i biglietti della metro,
chiesto indicazioni al barista al passante e al farmacista.
Se seguirete le nostre orme,
non fatelo di domenica
e nemmeno in un giorno festivo.
Come noi non vi rimarrebbe che cospargervi le ceneri sul capo.
lunedì 7 maggio 2007
Uff… E-ma-uff!
ovvero il suono dell’accettazione.
(Spero proprio che la nostra amica blogger non mi chieda i diritti)
(Spero proprio che la nostra amica blogger non mi chieda i diritti)
Sono passate un paio di settimane per me proprio così: Uff… E-ma-uff! Bizzosa e un po' rospa. Lo sono stata soprattutto con chi mi vuole bene (Nath non ti prodigare troppo nelle conferme, please!). Polemica, più di sempre. Soggetta a sbalzi di u-or-mori. Metereopatica? Probabilmente! (come dice la Litizzetto: Prodi? Prima di richiedere lo stato di calamità naturale per siccità accertiamoci che non piova per 20 giorni!)
Insomma, è da quel sabato che mi hanno svaligiato la macchina – ps. sembra che non sia stata io a lasciarla aperta, è facile che sia stata forzata la serratura – quello del ponte del 25 aprile che sono in questo stato, con gli angolini della bocca che pendono troppo spesso verso il basso, con un umore non proprio raggiante ed una vaga infelicità che non ha fondamento. Mi lascio annegare in un bicchiere d’acqua ad ogni piccolo intoppo e m’ingozzo di paranoie. Si dice che quando si è coscienti si è già a metà dell’opera.
Pensando alle cose rubate? Beh, quelle importanti, di valore, si ricomprano, faticando un po’ e deglutendo male… tutto si rimedia. Primo grado di accettazione. Alcuni oggetti avevano anche un valore affettivo, un valore che rimane comunque nel gesto, nelle parole del dono, non fuggono via con il bene in sé, ti rimangono dentro. In più devo dire che è stato un valido spunto per riflettere quanto morbosamente sia legata anche agli oggetti più banali, di quanto sia vero che in fondo molte cose che sembrano indispensabili in fin dei conto non lo sono. Gli eventi accadono, anche quelli spiacevoli, è necessario rassegnarcisi. Secondo grado di accettazione. Lo stesso anche con le persone. Ci sono momenti in cui il proprio punto di vista si arricchisce, tramite altri punti di vista, tramite la condivisione di momenti, sentimenti, spesso subentrano anche fatti, avvenimenti. Questo è successo a me, quel pomeriggio. Non è stato facile accettarlo, sorpresa, ho indagato bene che venisse veramente da me, che non fosse semplice condizionamento. Ne sono stata un po’ disorientata, e forse anche un po’ impaurita. Nath, non volevo difenderti da niente, probabilmente l’inverso, avrei voluto difender loro da quella rigidità ancestrale che mal si accorda con l’intelligenza. Ma anche questo, purtroppo, è un punto accettato a suo tempo. Terzo grado di accettazione.
Per fortuna che ci vogliamo tanto bene – un mondo di bene! - e lo abbiamo verificato. Non è necessario essere sempre in ferie, sempre sulla giostra, come si può credere a vederci sempre zampettare a giro per l’Italia, noi, nomadi a letto! Siamo capaci di stare bene insieme anche a non fare niente, e addirittura smazzandoci obblighi.
Come la denuncia dai carabinieri! Che avventura! Due ore nella guardiola del comando lavorando in tre, io te e il carramba, alla compilazione della denucia che, per altro, sapevamo non servire a niente se non a farci sperare nel (im)possibile ritrovamento di qualcosa!
Ci pensi? Siamo arrivati anche a partecipare ad eventi mondani! Giàgià! - Che non ci bastiamo più amore io e te soli? - L’inaugurazione della nuova biblioteca San Giorgio di Pistoia. Non siamo riusciti a sgrafignare molto dal buffet ma abbiamo appurato la bellezza degli ampi spazi, la scarsità della segnaletica e la presenza di un Roth che io non ho letto!
E la spesa al supermercato? Che spasso! Io e te con il carrellone – modello Marcovaldo – girando tra gli scaffali, dai libri, tappa d’obbligo che ha incrementato il conto della spesa, alla hobbistica, alla ricerca della camera d’aria per la mia bici che poi era solo da gonfiare, passando per la pasticceria, dove abbiamo apprezzato molto gli assaggi aggratisse, fino ai beveraggi, dove non s’assaggiava niente ma ho sfruttato le tue possenti braccia per le casse dell’acqua!
…e ho raccontato solo il raccontabile!
Lo sai cos’è? È che questo mese di aprile ci ha viziati! Abbiamo avuto così tante feste, le vacanze, i ponti, così tante opportunità di stare insieme che al solo pensiero di un mese di maggio arido di quest’opportunità mi monta un’uggia! È questo! …altro che pioggia maggiolina! Ah i maggiolini! Quella calimità naturale per la produzione agricola della tua terra, saranno loro ad inquinare il mio sorriso?
La verità è che un po’ la sfiga me la tiro. Già.
Infatti, pensandoci bene, forse ho chiesto troppo dalle mie provate forze nello scorso week end del 1° maggio. Ero troppo decisa a non perdere niente dello sfumato programma fatto per il 25 aprile, che ho forzato un po’, chiedendo troppo all’anima e al corpo.
Che ho fatto mai? …uhm niente… ho condotto Nath a Spoleto, aggiungendo altri 250 km i suoi 500 della mattina. Gli ho presentato Poreta e gli ospitali zii umbri, offerto una gustosa cena dalla conversazione in parte oscura, con pacchi e contropaccotto: il Funari Show, come dire, mai più senza?! Non contenta, a questo gioco di dialetti, ci abbiamo aggiunto anche il romano! Tanto di km ne avevamo fatti pochi!
La meta? Il cimitero acattolico di Roma! Avevamo mancato l’appuntamento con l’anniversario della morte, ma sulla tomba di Gramsci ci dovevovamo andare, o meglio ci andremo. Il cimitero non cattolico di Roma è chiuso la domenica, ricordatevelo se lo cercate dietro la Piramide della Garbatella. Ah, un’altra cosa… se cercate una pianta di Roma, ed anche voi avete un fidanzato che si rifiuta di pagarla 5 € da un giornalaio, non vi fate prendere dall’isteria, come invece ho fatto io, la trovate al box dell’Apt a Termini in piazza dei cinquecento, marciapiede D. Ulteriore grado d’accettazione, il quarto. Mai lasciarsi scoraggiare, tutto è superabile, la delusione da cimitero chiuso, la discussione per l’aquisto della mappa! …e il palco di Cofferati dov’era? Fuori o dentro il Circo Massimo?
Niente però, può opacizzare la bellezza della luce caravaggesca e l’emozione del primo Caravaggio Tour di Nathan! Santa Maria del Popolo e i piedoni di San Pietro crocifisso o San Paolo disarcionato da cavallo. Ma lo spettacolo vero, lo vedrete all’apertura dei cancelli, ops dei portoni. Folle di turisti, aspettavano l’apertura della chiesa alle 16,30, quando sono entrati si sono quasi messi a correre per arrivare primi davanti alla balaustra della cappella che impedisce una visione ravvicinata delle opere. In Sant’Agostino invece non c’è stato questo problema, questa pala d’altare è la più esclusa dal circuito turistico, si vede che la Madonna dei pellegrini interessa solo noi. Mentre in San Luigi dei Francesi, davanti alla Cappella Contarelli c’era una piccola comunità d’interessati alla rivelazione del mistero religioso caravaggesco. La vita di San Matteo, dalla chiamata al martirio.
Questo poteva già bastare. Ma non ci siamo certo arresi, tornati verso le materni terre, schivata una nuova cena dalla zia – incosapevoli di cio che stavamo facendo – ci siamo immersi sotto la pioggia per le vie di Spoleto alla ricerca di cibo! Beh, il primo ristorante che sembrava carinissimo ci ha disarcionato, ributatti in strada. Il secondo ci ha accolti con queste parole: “Sorry, I’m turkish”. “ Eh! Welcome in Italy”. La faccio breve, non andate mai a mangiare al Ristorante La Pecchiarda di Spoleto. Di buon grado abbiamo accettato, quinto grado, mai lasciarsi guidare dalla pioggia, dall’esigenza di far pipì nella scelta del ristorante!
Quella pioggia non è mai cessata, ha continuato imperterrita, durante il nostro rientro, e noi, stakanovisti del conoscere posti, abbiamo girato per le stradine di Montefalco e di Spello, schivando e prendendo goccioloni. Poi finalmente a casa, il nostro letto e le nostre coccole. Qualche parola, ma solo qualche perché poi quando piove e si ummeggia malumore escon torte e un po' smagliate, soprattutto quando successivamente si metton i famosi 500 km tra di noi! E per fortuna che da martedì sera a venerdì sera sono pochi giorni! Stavolta ho imparato la lezione, o quasi... Tante parole spese ma pochi impegni definiti, un solo appuntamento reale, la cena di saluto con i parents francesi, in partenza per la loro vacanza terapeutica: Ischia! Conseguentemente a ‘sto fatto, Nath a casa non ha trovato solo me, ma anche il mio alter ego felino: La Piccola Gatta. Si conoscevano già, e per fortuna, perché quando siamo arrivati a casa venerdì sera eravamo presi da una accaloratissima conversazione – eufemismo per non dire litigio all’ultimo sangue. Secondo me un po’ di uggia maggiolina l’aveva pure lui e allora scintille io, scintille lui, abbiamo acceso un fuoco, di paglia per fortuna! Dagl’arabi, una pizzeria un po’ zozza delle mie parti dove, fino a venerdì, c’ho sempre mangiato bene e speso poco. Perché abbiamo litigato? Ops conversato animatamente? perché a vedere di Nath, sono lo “stereotipo del consumo”, mi faccio toccare il cuore e mi vendono ciò che vogliono, anche progetti equo&solidali. Accetto, accetto anche questo, e sei! Non nego che può essere sicuramente vero, haivogliaté! Però io non ci riesco a stare sempre lì a spezzettare tutto e a stare attenta a tutto. La pace è tornata a tarda mattina, quando abbiamo dovuto unire le nostre forze per far fronte al frigo vuoto e all’appetito incalzante, verso un supermercato di sabato pomeriggio.
Ma la nostra pace è una pace sconfinanta, serena e forse ancora un po’ annebbiata, perché quando piove tanto, ma tanto, un po’ di nebbia sale, per forza.
Ma appena il sole è alto tutto è di nuovo limpido e si riesce a scrutare lontano. Molto lontano.
E lo pensi anche se la prima cosa che ti senti dire la domenica mattina è: “Ho sognato E-ma-uff.”
Insomma, è da quel sabato che mi hanno svaligiato la macchina – ps. sembra che non sia stata io a lasciarla aperta, è facile che sia stata forzata la serratura – quello del ponte del 25 aprile che sono in questo stato, con gli angolini della bocca che pendono troppo spesso verso il basso, con un umore non proprio raggiante ed una vaga infelicità che non ha fondamento. Mi lascio annegare in un bicchiere d’acqua ad ogni piccolo intoppo e m’ingozzo di paranoie. Si dice che quando si è coscienti si è già a metà dell’opera.
Pensando alle cose rubate? Beh, quelle importanti, di valore, si ricomprano, faticando un po’ e deglutendo male… tutto si rimedia. Primo grado di accettazione. Alcuni oggetti avevano anche un valore affettivo, un valore che rimane comunque nel gesto, nelle parole del dono, non fuggono via con il bene in sé, ti rimangono dentro. In più devo dire che è stato un valido spunto per riflettere quanto morbosamente sia legata anche agli oggetti più banali, di quanto sia vero che in fondo molte cose che sembrano indispensabili in fin dei conto non lo sono. Gli eventi accadono, anche quelli spiacevoli, è necessario rassegnarcisi. Secondo grado di accettazione. Lo stesso anche con le persone. Ci sono momenti in cui il proprio punto di vista si arricchisce, tramite altri punti di vista, tramite la condivisione di momenti, sentimenti, spesso subentrano anche fatti, avvenimenti. Questo è successo a me, quel pomeriggio. Non è stato facile accettarlo, sorpresa, ho indagato bene che venisse veramente da me, che non fosse semplice condizionamento. Ne sono stata un po’ disorientata, e forse anche un po’ impaurita. Nath, non volevo difenderti da niente, probabilmente l’inverso, avrei voluto difender loro da quella rigidità ancestrale che mal si accorda con l’intelligenza. Ma anche questo, purtroppo, è un punto accettato a suo tempo. Terzo grado di accettazione.
Per fortuna che ci vogliamo tanto bene – un mondo di bene! - e lo abbiamo verificato. Non è necessario essere sempre in ferie, sempre sulla giostra, come si può credere a vederci sempre zampettare a giro per l’Italia, noi, nomadi a letto! Siamo capaci di stare bene insieme anche a non fare niente, e addirittura smazzandoci obblighi.
Come la denuncia dai carabinieri! Che avventura! Due ore nella guardiola del comando lavorando in tre, io te e il carramba, alla compilazione della denucia che, per altro, sapevamo non servire a niente se non a farci sperare nel (im)possibile ritrovamento di qualcosa!
Ci pensi? Siamo arrivati anche a partecipare ad eventi mondani! Giàgià! - Che non ci bastiamo più amore io e te soli? - L’inaugurazione della nuova biblioteca San Giorgio di Pistoia. Non siamo riusciti a sgrafignare molto dal buffet ma abbiamo appurato la bellezza degli ampi spazi, la scarsità della segnaletica e la presenza di un Roth che io non ho letto!
E la spesa al supermercato? Che spasso! Io e te con il carrellone – modello Marcovaldo – girando tra gli scaffali, dai libri, tappa d’obbligo che ha incrementato il conto della spesa, alla hobbistica, alla ricerca della camera d’aria per la mia bici che poi era solo da gonfiare, passando per la pasticceria, dove abbiamo apprezzato molto gli assaggi aggratisse, fino ai beveraggi, dove non s’assaggiava niente ma ho sfruttato le tue possenti braccia per le casse dell’acqua!
…e ho raccontato solo il raccontabile!
Lo sai cos’è? È che questo mese di aprile ci ha viziati! Abbiamo avuto così tante feste, le vacanze, i ponti, così tante opportunità di stare insieme che al solo pensiero di un mese di maggio arido di quest’opportunità mi monta un’uggia! È questo! …altro che pioggia maggiolina! Ah i maggiolini! Quella calimità naturale per la produzione agricola della tua terra, saranno loro ad inquinare il mio sorriso?
La verità è che un po’ la sfiga me la tiro. Già.
Infatti, pensandoci bene, forse ho chiesto troppo dalle mie provate forze nello scorso week end del 1° maggio. Ero troppo decisa a non perdere niente dello sfumato programma fatto per il 25 aprile, che ho forzato un po’, chiedendo troppo all’anima e al corpo.
Che ho fatto mai? …uhm niente… ho condotto Nath a Spoleto, aggiungendo altri 250 km i suoi 500 della mattina. Gli ho presentato Poreta e gli ospitali zii umbri, offerto una gustosa cena dalla conversazione in parte oscura, con pacchi e contropaccotto: il Funari Show, come dire, mai più senza?! Non contenta, a questo gioco di dialetti, ci abbiamo aggiunto anche il romano! Tanto di km ne avevamo fatti pochi!
La meta? Il cimitero acattolico di Roma! Avevamo mancato l’appuntamento con l’anniversario della morte, ma sulla tomba di Gramsci ci dovevovamo andare, o meglio ci andremo. Il cimitero non cattolico di Roma è chiuso la domenica, ricordatevelo se lo cercate dietro la Piramide della Garbatella. Ah, un’altra cosa… se cercate una pianta di Roma, ed anche voi avete un fidanzato che si rifiuta di pagarla 5 € da un giornalaio, non vi fate prendere dall’isteria, come invece ho fatto io, la trovate al box dell’Apt a Termini in piazza dei cinquecento, marciapiede D. Ulteriore grado d’accettazione, il quarto. Mai lasciarsi scoraggiare, tutto è superabile, la delusione da cimitero chiuso, la discussione per l’aquisto della mappa! …e il palco di Cofferati dov’era? Fuori o dentro il Circo Massimo?
Niente però, può opacizzare la bellezza della luce caravaggesca e l’emozione del primo Caravaggio Tour di Nathan! Santa Maria del Popolo e i piedoni di San Pietro crocifisso o San Paolo disarcionato da cavallo. Ma lo spettacolo vero, lo vedrete all’apertura dei cancelli, ops dei portoni. Folle di turisti, aspettavano l’apertura della chiesa alle 16,30, quando sono entrati si sono quasi messi a correre per arrivare primi davanti alla balaustra della cappella che impedisce una visione ravvicinata delle opere. In Sant’Agostino invece non c’è stato questo problema, questa pala d’altare è la più esclusa dal circuito turistico, si vede che la Madonna dei pellegrini interessa solo noi. Mentre in San Luigi dei Francesi, davanti alla Cappella Contarelli c’era una piccola comunità d’interessati alla rivelazione del mistero religioso caravaggesco. La vita di San Matteo, dalla chiamata al martirio.
Questo poteva già bastare. Ma non ci siamo certo arresi, tornati verso le materni terre, schivata una nuova cena dalla zia – incosapevoli di cio che stavamo facendo – ci siamo immersi sotto la pioggia per le vie di Spoleto alla ricerca di cibo! Beh, il primo ristorante che sembrava carinissimo ci ha disarcionato, ributatti in strada. Il secondo ci ha accolti con queste parole: “Sorry, I’m turkish”. “ Eh! Welcome in Italy”. La faccio breve, non andate mai a mangiare al Ristorante La Pecchiarda di Spoleto. Di buon grado abbiamo accettato, quinto grado, mai lasciarsi guidare dalla pioggia, dall’esigenza di far pipì nella scelta del ristorante!
Quella pioggia non è mai cessata, ha continuato imperterrita, durante il nostro rientro, e noi, stakanovisti del conoscere posti, abbiamo girato per le stradine di Montefalco e di Spello, schivando e prendendo goccioloni. Poi finalmente a casa, il nostro letto e le nostre coccole. Qualche parola, ma solo qualche perché poi quando piove e si ummeggia malumore escon torte e un po' smagliate, soprattutto quando successivamente si metton i famosi 500 km tra di noi! E per fortuna che da martedì sera a venerdì sera sono pochi giorni! Stavolta ho imparato la lezione, o quasi... Tante parole spese ma pochi impegni definiti, un solo appuntamento reale, la cena di saluto con i parents francesi, in partenza per la loro vacanza terapeutica: Ischia! Conseguentemente a ‘sto fatto, Nath a casa non ha trovato solo me, ma anche il mio alter ego felino: La Piccola Gatta. Si conoscevano già, e per fortuna, perché quando siamo arrivati a casa venerdì sera eravamo presi da una accaloratissima conversazione – eufemismo per non dire litigio all’ultimo sangue. Secondo me un po’ di uggia maggiolina l’aveva pure lui e allora scintille io, scintille lui, abbiamo acceso un fuoco, di paglia per fortuna! Dagl’arabi, una pizzeria un po’ zozza delle mie parti dove, fino a venerdì, c’ho sempre mangiato bene e speso poco. Perché abbiamo litigato? Ops conversato animatamente? perché a vedere di Nath, sono lo “stereotipo del consumo”, mi faccio toccare il cuore e mi vendono ciò che vogliono, anche progetti equo&solidali. Accetto, accetto anche questo, e sei! Non nego che può essere sicuramente vero, haivogliaté! Però io non ci riesco a stare sempre lì a spezzettare tutto e a stare attenta a tutto. La pace è tornata a tarda mattina, quando abbiamo dovuto unire le nostre forze per far fronte al frigo vuoto e all’appetito incalzante, verso un supermercato di sabato pomeriggio.
Ma la nostra pace è una pace sconfinanta, serena e forse ancora un po’ annebbiata, perché quando piove tanto, ma tanto, un po’ di nebbia sale, per forza.
Ma appena il sole è alto tutto è di nuovo limpido e si riesce a scrutare lontano. Molto lontano.
E lo pensi anche se la prima cosa che ti senti dire la domenica mattina è: “Ho sognato E-ma-uff.”
martedì 6 febbraio 2007
Roma anda e rianda.
Il programma sembra ben fatto. Ho già comprato i biglietti del treno, Eurostar, tre ore di percorrenza circa. Unico piccolo dramma che mi divora è il parcheggio. Dove mettere la macchina in questa città d’arte rimasta al suo cinquecentesco splendore? Le soluzioni sono due: svegliarsi presto e cercare nelle vie prossime alla stazione un buco dove abbandonare la machine, dovrebbe essere non troppo in vista e lontano dagli sguardi azzannanti dei vigili urbani, oppure pagare una tariffa salata di sosta a quei delinquenti che gestiscono tutti i parcheggi della City?
I fogli da dieci vanno e vengono, non é per loro… quanto per il principio. Bhe, proviamo per la prima soluzione e al massimo optiamo per la seconda.
Culo! Strada chiusa per lavori, sosta libera! Wow… due passi a piedi e siamo in stazione. Il tempo non è dei migliori, ma è mattina presto, due gocce d’acqua non fanno certo un’intera giornata di pioggia! Caffè, stazione, giornale, cartello e binario. Prendiamo posto sui sedili assegnati e cominciamo a giocare con le nostre parole e con quelle di carta.
Io e Nathan non ci conosciamo da molto, dobbiamo ancora rodare le nostre mani e le nostre labbra. I nostri occhi hanno sete di pelle e dettagli, i nostri pensieri sono domande inespresse, dubbi da sciogliere e remore da dissipare. Il treno ci porta veloce nella città eterna tra un pisolino e una coccola.
Termini, stazione di Termini, calore di un Meridione, ancora più a sud di me. Aivojia Nord a vantare primati economici, il lustro che dà stare dentro le mura aureliane, nessuna griffe lo può equiparare!
La nostra meta è precisa, Mostra della Piccola e Media Editoria, Palazzo dei Congressi all’Eur. Da provinciali quali siamo, scendiamo verso la metropolitana, uno in coda alla macchinetta dei bijetti, l’altro alla ricerca di un giornalaio che li smerci più in fretta. Detto fatto. Siamo nel budello di quella rete d’aria che si sposta con le persone sottoterra. Odore preciso di Metro. C’imbarchiamo con un sacco d’altra gente e, una volta rimasti in pochi, la linea diventa di superficie e individuiamo due soggetti. Per il loro abbigliamento, per la faccia, i capelli e gli occhiali, per come parlano vorticosamente, in modo quasi patologico, captati dal discorso qualche parola, capiamo che hanno la nostra stessa destinazione: la fiera, i libri. Usciti, tra i nostri giochi video e qualche bacio appassionato, li seguiamo, prima discreti, lungo un viale che discredita i pedoni, poi dichiaratamente, quando i nostri destini si incrociano al semaforo. Ci facciamo spiegare la strada, in modo da non doverci baciare proprio sotto i loro occhi, e proseguiamo con i nostri ritmi, fatti di un camminare avvinghiati e con soste bacerecce.
Quando svoltiamo l’ultima strada del dedalo di vialoni, ecco che davanti a noi si apre il Palazzo dei Congressi:
- Ma io questo lo conosco? È il palazzo realizzato da Adalberto Libera nel ’42 per l’Esposizione Universale di Roma?
Che Francese sbadata che sono! Perché non ci ho pensato prima! Avrei potuto rileggere qualcosa, fare bella figura, raccontando al mio Nathan un po’ di info storiche e politiche di questo architetto razionalista. Bhe, oramai è tardi, non mi rimane altro che aprire gli occhi e ammirare quest’opera dalle linee moderne e dal gusto classico. Ricordo vagamente qualcosa sulle colonne… sulla loro forma… vediamo se si evince senza testo, solo dalla figura in carne e ossa… sembrano rastremate, come a voler fronteggiare la convergenza delle fughe all’infinito… e renderle rigidamente perfette… approfondirò poi.
Entriamo, fiera, libri. Connubio succulento per due onnivori di parole come noi! Perdo subito Nathan, capisco immediatamente che mi trascinerò dietro di lui, sarà lui che detterà i tempi. Che strano. Devo dire che mai avrei potuto pensare esistesse qualcuno con la tenacia di passare più tempo di me a spulciare libri in vendita. Adesso capisco tanti sbuffi d’amici e di ex fidanzati durante le mie protratte soste in libreria.
Ma è un piacere vederlo. Lo adoro quando fa così: prende un libro, guarda la coperta, legge il retro e le alette di presentazione dell’autore, apre a caso l’interno oppure se gli dice particolarmente bene, parte dalle prime pagine, e legge, legge, legge. Probabilmente è lì che cerca di cogliere quell’artigianato di produzione, quella metodologia di costruzione che ogni autore ha, che sviluppa autonomamente o attingendo da altri, dai Grandi, magari i suoi Grandi. Il mio Nathan è lì, che coglie tutto questo nel suo statico silenzio con libro in mano. Lo adoro. Mi intenerisce quando lo vedo così assorto, sembra così etereo e distante dal mondo, ma nello stesso momento è con noi, con i piedi in terra e prende le sue decisioni, acquista il libro e coscientemente, matericamente, chiede lo sconto fiera. È lui, è il mio Nathan. È un talento imbrigliato nel suo perfezionismo, nella sua precisa pignoleria, nelle sue idee di lavoro duro, di ricerca e miglioramento, nelle sue parole ricercate e precise.
Durante il viaggio ci ha accompagnato Pamuk. Sì, Omar Pamuk, il Nobel per la letteratura. Sì, l’ho tenuto in braccio con il suo discorso di Stoccolma. Diceva qualcosa che suona più o meno così:
Insomma, la nostra mattinata prosegue: ci perdiamo, io cerco lui, lui guarda i libri, io guardo i libri e guardo lui. Non compro niente. Di solito acquisto l’inverosimile in libreria, ma con lui ho soggezione. Quando sono con lui, mi sento un’intellettuale da rotocalco, da quattro soldi, una ferita pseudo-intellettuale. Forse lo sono o forse no, ma ho imparato da tempo a prendermi per quello che sono e non desiderare altro che quello che voglio essere, non quello che voglio apparire. Quindi, ripenso decisa alla montagna di libri abbandonati dopo l’acquisto per mancanza di tempo e al dolore che provo passandogli davanti, desisto dall’acquisto.
Alle 14.00 lo stomaco e la schiena cominciano a lamentarsi. Usciamo alla ricerca di viveri, sostiamo al sole che nel frattempo è uscito alto e fumiamo un cicchino, rilassati. Qualche domanda per scrutarci e scoprirci viene a galla. Lasciamo che approdino e trovino ormeggio, ho voglia di farmi conoscere. C’incamminiamo verso il centro, convinti che nella urbe caput mundi, il calore meridionale e la frequenza dei turisti ci permetta di mangiare anche a pomeriggio inoltrato. Scendiamo in Piazza Barberini e ci facciamo la salita a piedi fino a Trinità dei Monti. Lì, imperterriti e insensibili al nostro stomaco, ci perdiamo a guardare le nuvole, la folla e la casa con giardino del film L’Assedio di Bertolucci. Scendiamo. Il proposito sarebbe di scansare la folla e cercare, in pieno centro a Roma, di sabato pomeriggio, una trattoria carina e poco glamour per pranzare alle ormai 15 del pomeriggio. Giriamo tenendoci stretti e baciandoci ad ogni vicolo. Innamorati di primo pelo, è così. Arriviamo sotto l’Ara Pacis che aperta e ristrutturata nemmeno si riconosce. Chi avrà fatto il progetto? Bisognerebbe mi ricordassi di verificarlo… procediamo… entriamo in un paio di locali ma alle 16.00 hanno già tutti la cucina chiusa. Sconsolati ci riportiamo verso la calca. Una traversa tra via del corso e via del babbuino. Ci ispira un piccolo baretto con due tavolini fuori su di una pedana dove già seggono innamorati due stranieri. È il posto per noi, entro e chiedo se ci può far mangiare con piatti anche freddi. Sembra stupito dalla domanda, certo, il bar è lì per far mangiare gli avventori! Ci accomodiamo fuori e giochiamo, tra cicche, telecamera e parole. Parole poche a dire il vero, o almeno vacue, spoglie di tutte quelle domande, quelle richieste che il nostro stadio d’innamorati ancora estranei richiederebbe, ma verranno, me lo sento. La pazienza è la virtù dei forti. Il tempo è con noi. Ne abbiamo a sufficienza per mangiare, fumare, tornare in stazione a piedi, fermarsi in libreria e prendere il nostro treno con calma. I sedili ci accolgono e ci conducono rispettosi al nostro proseguo.
I fogli da dieci vanno e vengono, non é per loro… quanto per il principio. Bhe, proviamo per la prima soluzione e al massimo optiamo per la seconda.
Culo! Strada chiusa per lavori, sosta libera! Wow… due passi a piedi e siamo in stazione. Il tempo non è dei migliori, ma è mattina presto, due gocce d’acqua non fanno certo un’intera giornata di pioggia! Caffè, stazione, giornale, cartello e binario. Prendiamo posto sui sedili assegnati e cominciamo a giocare con le nostre parole e con quelle di carta.
Io e Nathan non ci conosciamo da molto, dobbiamo ancora rodare le nostre mani e le nostre labbra. I nostri occhi hanno sete di pelle e dettagli, i nostri pensieri sono domande inespresse, dubbi da sciogliere e remore da dissipare. Il treno ci porta veloce nella città eterna tra un pisolino e una coccola.
Termini, stazione di Termini, calore di un Meridione, ancora più a sud di me. Aivojia Nord a vantare primati economici, il lustro che dà stare dentro le mura aureliane, nessuna griffe lo può equiparare!
La nostra meta è precisa, Mostra della Piccola e Media Editoria, Palazzo dei Congressi all’Eur. Da provinciali quali siamo, scendiamo verso la metropolitana, uno in coda alla macchinetta dei bijetti, l’altro alla ricerca di un giornalaio che li smerci più in fretta. Detto fatto. Siamo nel budello di quella rete d’aria che si sposta con le persone sottoterra. Odore preciso di Metro. C’imbarchiamo con un sacco d’altra gente e, una volta rimasti in pochi, la linea diventa di superficie e individuiamo due soggetti. Per il loro abbigliamento, per la faccia, i capelli e gli occhiali, per come parlano vorticosamente, in modo quasi patologico, captati dal discorso qualche parola, capiamo che hanno la nostra stessa destinazione: la fiera, i libri. Usciti, tra i nostri giochi video e qualche bacio appassionato, li seguiamo, prima discreti, lungo un viale che discredita i pedoni, poi dichiaratamente, quando i nostri destini si incrociano al semaforo. Ci facciamo spiegare la strada, in modo da non doverci baciare proprio sotto i loro occhi, e proseguiamo con i nostri ritmi, fatti di un camminare avvinghiati e con soste bacerecce.
Quando svoltiamo l’ultima strada del dedalo di vialoni, ecco che davanti a noi si apre il Palazzo dei Congressi:
- Ma io questo lo conosco? È il palazzo realizzato da Adalberto Libera nel ’42 per l’Esposizione Universale di Roma?
Che Francese sbadata che sono! Perché non ci ho pensato prima! Avrei potuto rileggere qualcosa, fare bella figura, raccontando al mio Nathan un po’ di info storiche e politiche di questo architetto razionalista. Bhe, oramai è tardi, non mi rimane altro che aprire gli occhi e ammirare quest’opera dalle linee moderne e dal gusto classico. Ricordo vagamente qualcosa sulle colonne… sulla loro forma… vediamo se si evince senza testo, solo dalla figura in carne e ossa… sembrano rastremate, come a voler fronteggiare la convergenza delle fughe all’infinito… e renderle rigidamente perfette… approfondirò poi.
Entriamo, fiera, libri. Connubio succulento per due onnivori di parole come noi! Perdo subito Nathan, capisco immediatamente che mi trascinerò dietro di lui, sarà lui che detterà i tempi. Che strano. Devo dire che mai avrei potuto pensare esistesse qualcuno con la tenacia di passare più tempo di me a spulciare libri in vendita. Adesso capisco tanti sbuffi d’amici e di ex fidanzati durante le mie protratte soste in libreria.
Ma è un piacere vederlo. Lo adoro quando fa così: prende un libro, guarda la coperta, legge il retro e le alette di presentazione dell’autore, apre a caso l’interno oppure se gli dice particolarmente bene, parte dalle prime pagine, e legge, legge, legge. Probabilmente è lì che cerca di cogliere quell’artigianato di produzione, quella metodologia di costruzione che ogni autore ha, che sviluppa autonomamente o attingendo da altri, dai Grandi, magari i suoi Grandi. Il mio Nathan è lì, che coglie tutto questo nel suo statico silenzio con libro in mano. Lo adoro. Mi intenerisce quando lo vedo così assorto, sembra così etereo e distante dal mondo, ma nello stesso momento è con noi, con i piedi in terra e prende le sue decisioni, acquista il libro e coscientemente, matericamente, chiede lo sconto fiera. È lui, è il mio Nathan. È un talento imbrigliato nel suo perfezionismo, nella sua precisa pignoleria, nelle sue idee di lavoro duro, di ricerca e miglioramento, nelle sue parole ricercate e precise.
Durante il viaggio ci ha accompagnato Pamuk. Sì, Omar Pamuk, il Nobel per la letteratura. Sì, l’ho tenuto in braccio con il suo discorso di Stoccolma. Diceva qualcosa che suona più o meno così:
“Uno scrittore è colui che passa anni alla paziente ricerca del secondo essere al suo interno, e del mondo che lo rende la persona che è: quando parlo di scrivere, la prima cosa che mi viene alla mente non è un romanzo, una poesia o una tradizione* letteraria, è una persona che si chiude in una stanza, si siede ad un tavolo e, da solo, si concentra su se stesso, tra le sue ombre costruisce un mondo nuovo con le parole.”Penso che anche Nathan ne sia convinto. Per questo gli suggerisco sempre di prendere in affitto una casina sull’Appennino dove andare a scrivere, dipingere e fare l’amore, con me! Ma, come ho già detto, Nathan è anche concreto e, per fortuna, non vive di sogni, come me.
Insomma, la nostra mattinata prosegue: ci perdiamo, io cerco lui, lui guarda i libri, io guardo i libri e guardo lui. Non compro niente. Di solito acquisto l’inverosimile in libreria, ma con lui ho soggezione. Quando sono con lui, mi sento un’intellettuale da rotocalco, da quattro soldi, una ferita pseudo-intellettuale. Forse lo sono o forse no, ma ho imparato da tempo a prendermi per quello che sono e non desiderare altro che quello che voglio essere, non quello che voglio apparire. Quindi, ripenso decisa alla montagna di libri abbandonati dopo l’acquisto per mancanza di tempo e al dolore che provo passandogli davanti, desisto dall’acquisto.
Alle 14.00 lo stomaco e la schiena cominciano a lamentarsi. Usciamo alla ricerca di viveri, sostiamo al sole che nel frattempo è uscito alto e fumiamo un cicchino, rilassati. Qualche domanda per scrutarci e scoprirci viene a galla. Lasciamo che approdino e trovino ormeggio, ho voglia di farmi conoscere. C’incamminiamo verso il centro, convinti che nella urbe caput mundi, il calore meridionale e la frequenza dei turisti ci permetta di mangiare anche a pomeriggio inoltrato. Scendiamo in Piazza Barberini e ci facciamo la salita a piedi fino a Trinità dei Monti. Lì, imperterriti e insensibili al nostro stomaco, ci perdiamo a guardare le nuvole, la folla e la casa con giardino del film L’Assedio di Bertolucci. Scendiamo. Il proposito sarebbe di scansare la folla e cercare, in pieno centro a Roma, di sabato pomeriggio, una trattoria carina e poco glamour per pranzare alle ormai 15 del pomeriggio. Giriamo tenendoci stretti e baciandoci ad ogni vicolo. Innamorati di primo pelo, è così. Arriviamo sotto l’Ara Pacis che aperta e ristrutturata nemmeno si riconosce. Chi avrà fatto il progetto? Bisognerebbe mi ricordassi di verificarlo… procediamo… entriamo in un paio di locali ma alle 16.00 hanno già tutti la cucina chiusa. Sconsolati ci riportiamo verso la calca. Una traversa tra via del corso e via del babbuino. Ci ispira un piccolo baretto con due tavolini fuori su di una pedana dove già seggono innamorati due stranieri. È il posto per noi, entro e chiedo se ci può far mangiare con piatti anche freddi. Sembra stupito dalla domanda, certo, il bar è lì per far mangiare gli avventori! Ci accomodiamo fuori e giochiamo, tra cicche, telecamera e parole. Parole poche a dire il vero, o almeno vacue, spoglie di tutte quelle domande, quelle richieste che il nostro stadio d’innamorati ancora estranei richiederebbe, ma verranno, me lo sento. La pazienza è la virtù dei forti. Il tempo è con noi. Ne abbiamo a sufficienza per mangiare, fumare, tornare in stazione a piedi, fermarsi in libreria e prendere il nostro treno con calma. I sedili ci accolgono e ci conducono rispettosi al nostro proseguo.
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