Lentamente ci siamo alzati dai nostri letti. Incolumi. La grande scossa profetizzata da Zazie non è arrivata (e non avremmo nemmeno avuto un tavolo sotto cui ripararci).
Alla stazione di Ueno abbiamo goduto di una colazione calorica dal mio preferito: Anderson.
Fatto le prenotazioni per lo Shinkansen Hikari diretto a Kyoto, ci siamo spostati, per l'ultima volta sulla bellissima (già ci mancano i suoi gingle) Yamanote, alla Tokyo Station.
Incredibile vedere all'opera gli addetti alle pulizie del treno appena arrivato e pronto per ripartire. Ripuliti i braccioli, spolverate le sedute, cambiate le immacolate pezzole sui poggiatesta.
Sul treno, nel silenzio generale di cellulari spenti (o silenziati) e di viaggiatori addormentati o che chiacchieravanno con un filo di voce, solo un bambino vociava allegramente, inzozzava il vetro con una salvietta umida, intralciava il corridoio al passare del carrello delle vivande. Aforisma, della Francese: certo, i bambini son bambini, giapponesi lo diventano dopo.
Alla Kyoto station ci perdiamo in quell'infinità di scale e intrecci di corridoi. C'imbattiamo in un ufficio del turismo dove otteniamo una mappa della città. La gentilissima (come sempre) impiegata ci chiede se abbiamo già una sistemazione. Sì ce l'abbiamo. Ho anche uno schizzo disegnato da me per arrivarci. Su suggerimento della Francese chiediamo se sanno darci indicazioni più precise. Dico il nome del posto, ma loro non l'hanno mai sentito. Di sicuro lo pronuncio male. L'impiegata chiede alla collega. Entrambe si mettono a sfogliare freneticamente guide di alberghi. Dico che l'abbiamo trovato su internet e mostro la mia mappa "artigianale". Contiamo i semafori che ho disegnato maldestramente. E loro si prendono a cuore la situazione. Ma noi vogliamo andare. La strada non sembra difficile: quattro semafori su Karasuma-dori e poi a sinistra al 7/11. Diciamo che andiamo lo stesso. Ci chiedono se siamo veramente sicuri di voler andare senza uno loro indicazione. Continuano a cercare su manuali e cataloghi. Che ci sarà là fuori, pensiamo, una giungla piena d'insidie? Ma loro non ne vengono a capo. Insistiamo. Siete davvero sicuri ? Sì, lo siamo. Oh, allora buona fortuna, ci salutano rammaricate.
Dieci minuti sotto il sole cocente con le valigie. Ma arrivare è stato facile.
All'Ikoi-no-le ci diamo una rinfrescata. Srolotiamo i futon e, come dire, li collaudiamo.
Poi facciamo il punto della situazione. Cartina e Rough guide (per queste cose molto meglio della lonely) alla mano, segnamo i punti d'interesse.
Ma per oggi usciamo zonzo, verso il quadrilatero del centro, attraverso la Karasuma-dori, Shijo-dori, il tempio Kasaka-jinja, Gion, Higashiyama.
C'imbattimo in una libreria a cinque piani (Junkudo) dove acquistiamo The illustrated guide to Japan e un libro sui caratteri kanji. Alla cassa, tra inchini e carinerie, ci foderano i libri prima di metterli nel sacchetto.
Gironzolare porta fortuna. Oggi dev'essere giornata di processioni. Ne incontriamo diverse. Uomini urlanti vestiti da karate-ka, alcuni con quella sorta di perizoma da lottatore di sumo, percorrono le strade della città trasportando un baldacchino dorato, si fermano davanti ai templi e lo fanno dondolare urlando a ripetizioni frasi cadenzate.
Scopriamo che è una delle parate del Gion-Matzuri.
Ora usciamo, si va al palazzo dell'imperatore. Andiamo a prenotare la visita alla villa imperiale Katsura.
ps: la Francese ha mangiato il suo primo Okonomiyaki (fatto da sé sulla piastra :-)
1 commento:
Ben arrivati a Kyoto e buon divertimento al gion matsuri. ah, i baldacchini dorati si chiamano mikoshi.
Posta un commento