“…poche le cose che ti abbattono, sono le cose che nutrono te e il tuo talento.”
“ non tutto succede per essere capito e sfruttato, ma perché guarda caso è vita. L’esistenza non invoca sempre l’esistenza del romanziere, certe volte invoca solo di essere vissuta”.
Da "I fatti" di Philip Roth,
edizione italiana per Leonardo del 1989
Il difficile è stato trovarlo, I fatti, poi il più è “fatto”.
In un gioco epistolare tra Philip Roth e Nathan Zuckerman si sciolgono gli insinuanti legami biografici generati nel lettore. Philip vive un’infanzia felice, in una famiglia ebrea di Newark. Nonostante le capacità economiche modeste non gli verrà mai a mancare niente, né affetto, né istruzione, avviata prima in un college vicino casa e poi proseguita e felicemente conclusa alla Chicago University. Avrà un “apprendistato” felice, presso la docente di letteratura inglese, figura presente anche nei suoi primi anni di carriera universitaria, avviata subito dopo la laurea, all’età di 22 anni. Stesso anno del suo primo racconto, il 1955. Un felice esordio al quale ne seguirà subito un secondo, nel 1956. Nello stesso anno conosce, da professore universitario a Chicago, Josie, la donna che diverrà la sua prima moglie. Qui l’autore parte con una lunga argomentazione su quelle che, secondo lui, sono le cause dell’attrazione verso questa ragazza tipicamente americana così diversa da lui e che sconvolgerà la vita. La sua vita, ovattata dalla tradizione ebraica dei genitori, dal loro buon senso e dalla loro razionalità, dall’amore adorante verso questo figlio particolarmente dotato.
Josie, invece, ha iniziato giovanissima a subire. Maltrattata e malvoluta dal padre, si sposa giovanissima con un macho very american che le porterà via i due figli per rifarsi una vita senza di lei, lasciandola sola e con la necessità di mantenersi.
Philip affronta la conquista di questa donna, rappresentativa del peggio dei goym, come una sfida, come una sua personale lotta per la redenzione di quell’America, quella patria di cui si sente pienamente figlio, ma verso la quale il suo popolo eletto, ha ancora delle riserve. Povero Philip - mi permetto di aggiungere - sapesse a cosa va incontro! Nel ’58 dopo un’impensabile serie di tranelli e giochetti amorosi, sposa Josie. Lui stesso si meraviglia di averlo fatto, ripercorre incredulo gli avvenimenti rappresentativi della loro storia (anche grazie ad uno psicanalista), svelando la tela magistralmente tessuta da quella arpia psicopatica di sua moglie che lo ha condotto al talamo nuziale. Ve lo devo svelare, quest’ordito che porta al matrimonio, anche se svelo parte di questo libro e di altri, perché è lui stesso che la definisce come importantissime per la sua opera. Josie, la futura signora Roth – o meglio quella che lui chiama così nel libro ma che nella realtà potrebbe benissimo chiamarsi, Charline, Mary e in qualunque altro modo – Josie vede in lui, giovanissimo professore universitario, aspirante e promettente scrittore, un ottimo partito che la può tirare fuori dai bassifondi della vita in cui è sempre vissuta, e non intende affatto farselo scappare. Dopo un tentativo di gravidanza sfumato, Josie l’irriducibile ci riprova e sapientemente congegna una squallida trama alla Dallas che in ordine le consente 1) strappare la promessa di matrimonio a Philip 2) accordarsi per il successivo aborto dopo il matrimonio 3) ingabbiare l’uomo con senso di colpa. Ciliegina sulla torta è il fatto che, la stessa consorte, confiderà al coniuge solo due anni dopo: Josie non era incinta, aveva truccato l’analisi facendosi dare, sotto pagamento, da una donna nera abbordata per strada, l’urina gravida per la prova, il riscontro scientifico della sua gravidanza al quale il marito, oramai privo di fiducia nei suoi confronti, l’avrebbe sottoposta. Quindi nel ’58, quando si trova sposato e a New York, pubblicherà la prima opera, Addio Columbus, che circola ancora in pochissime copie in una vetusta traduzione. Nel ’59 esce un altro racconto, Difensore di fede – non prendetemi alla lettera vado a memoria – mentre nel ’60 riceverà per Addio Columbus il National Book Awards.
È subito dopo, tra il ’60 e il ’62 che un suo articolo provocherà accese discussioni negli ambienti “alti” dell’ebraismo newyorkese. È a causa di questo articolo che viene invitato ad un incontro alla Yeshiva – che se non ricordo male è l’università ebraica di New York - qui verrà apertamente accusato di antisemitismo. Rimarrà fortemente turbato da quest’evento. Contrariamente al suo alter ego, Zuckerman ma anche Tarnopol – che non ho il piacere di conoscere – l’autore non risponderà con durezza e sagacia, per lo meno non nell’immediato. Altra fondamentale differenza, rivelata apertamente nel libro di prossima pubblicazione, Patrimony, è il rapporto con il padre. Il sig. Roth, non si comporta come Zuckerman, non si mette contro il figlio, ma lo difende e lo approva. Nel 1962 riesce ad ottenere anche la separazione dalla prima moglie, che aggiunge forti tormenti alle vicende con la comunità ebraica, anche a causa dei problemi psicotici che la porteranno ad una morte violenta nel 1968. Il momento della morte è vissuto e narrato come una liberazione e la rinascita creativa.
Nel 1969 viene alla luce con estrema rapidità Il lamento di Portnoy, come uno che sputa il rospo.
Qui finiscono i miei appunti.
Se vi interessa il libro è in prestito presso la biblioteca regionale di Aosta.
“ non tutto succede per essere capito e sfruttato, ma perché guarda caso è vita. L’esistenza non invoca sempre l’esistenza del romanziere, certe volte invoca solo di essere vissuta”.
Da "I fatti" di Philip Roth,
edizione italiana per Leonardo del 1989
Il difficile è stato trovarlo, I fatti, poi il più è “fatto”.
In un gioco epistolare tra Philip Roth e Nathan Zuckerman si sciolgono gli insinuanti legami biografici generati nel lettore. Philip vive un’infanzia felice, in una famiglia ebrea di Newark. Nonostante le capacità economiche modeste non gli verrà mai a mancare niente, né affetto, né istruzione, avviata prima in un college vicino casa e poi proseguita e felicemente conclusa alla Chicago University. Avrà un “apprendistato” felice, presso la docente di letteratura inglese, figura presente anche nei suoi primi anni di carriera universitaria, avviata subito dopo la laurea, all’età di 22 anni. Stesso anno del suo primo racconto, il 1955. Un felice esordio al quale ne seguirà subito un secondo, nel 1956. Nello stesso anno conosce, da professore universitario a Chicago, Josie, la donna che diverrà la sua prima moglie. Qui l’autore parte con una lunga argomentazione su quelle che, secondo lui, sono le cause dell’attrazione verso questa ragazza tipicamente americana così diversa da lui e che sconvolgerà la vita. La sua vita, ovattata dalla tradizione ebraica dei genitori, dal loro buon senso e dalla loro razionalità, dall’amore adorante verso questo figlio particolarmente dotato.
Josie, invece, ha iniziato giovanissima a subire. Maltrattata e malvoluta dal padre, si sposa giovanissima con un macho very american che le porterà via i due figli per rifarsi una vita senza di lei, lasciandola sola e con la necessità di mantenersi.
Philip affronta la conquista di questa donna, rappresentativa del peggio dei goym, come una sfida, come una sua personale lotta per la redenzione di quell’America, quella patria di cui si sente pienamente figlio, ma verso la quale il suo popolo eletto, ha ancora delle riserve. Povero Philip - mi permetto di aggiungere - sapesse a cosa va incontro! Nel ’58 dopo un’impensabile serie di tranelli e giochetti amorosi, sposa Josie. Lui stesso si meraviglia di averlo fatto, ripercorre incredulo gli avvenimenti rappresentativi della loro storia (anche grazie ad uno psicanalista), svelando la tela magistralmente tessuta da quella arpia psicopatica di sua moglie che lo ha condotto al talamo nuziale. Ve lo devo svelare, quest’ordito che porta al matrimonio, anche se svelo parte di questo libro e di altri, perché è lui stesso che la definisce come importantissime per la sua opera. Josie, la futura signora Roth – o meglio quella che lui chiama così nel libro ma che nella realtà potrebbe benissimo chiamarsi, Charline, Mary e in qualunque altro modo – Josie vede in lui, giovanissimo professore universitario, aspirante e promettente scrittore, un ottimo partito che la può tirare fuori dai bassifondi della vita in cui è sempre vissuta, e non intende affatto farselo scappare. Dopo un tentativo di gravidanza sfumato, Josie l’irriducibile ci riprova e sapientemente congegna una squallida trama alla Dallas che in ordine le consente 1) strappare la promessa di matrimonio a Philip 2) accordarsi per il successivo aborto dopo il matrimonio 3) ingabbiare l’uomo con senso di colpa. Ciliegina sulla torta è il fatto che, la stessa consorte, confiderà al coniuge solo due anni dopo: Josie non era incinta, aveva truccato l’analisi facendosi dare, sotto pagamento, da una donna nera abbordata per strada, l’urina gravida per la prova, il riscontro scientifico della sua gravidanza al quale il marito, oramai privo di fiducia nei suoi confronti, l’avrebbe sottoposta. Quindi nel ’58, quando si trova sposato e a New York, pubblicherà la prima opera, Addio Columbus, che circola ancora in pochissime copie in una vetusta traduzione. Nel ’59 esce un altro racconto, Difensore di fede – non prendetemi alla lettera vado a memoria – mentre nel ’60 riceverà per Addio Columbus il National Book Awards.
È subito dopo, tra il ’60 e il ’62 che un suo articolo provocherà accese discussioni negli ambienti “alti” dell’ebraismo newyorkese. È a causa di questo articolo che viene invitato ad un incontro alla Yeshiva – che se non ricordo male è l’università ebraica di New York - qui verrà apertamente accusato di antisemitismo. Rimarrà fortemente turbato da quest’evento. Contrariamente al suo alter ego, Zuckerman ma anche Tarnopol – che non ho il piacere di conoscere – l’autore non risponderà con durezza e sagacia, per lo meno non nell’immediato. Altra fondamentale differenza, rivelata apertamente nel libro di prossima pubblicazione, Patrimony, è il rapporto con il padre. Il sig. Roth, non si comporta come Zuckerman, non si mette contro il figlio, ma lo difende e lo approva. Nel 1962 riesce ad ottenere anche la separazione dalla prima moglie, che aggiunge forti tormenti alle vicende con la comunità ebraica, anche a causa dei problemi psicotici che la porteranno ad una morte violenta nel 1968. Il momento della morte è vissuto e narrato come una liberazione e la rinascita creativa.
Nel 1969 viene alla luce con estrema rapidità Il lamento di Portnoy, come uno che sputa il rospo.
Qui finiscono i miei appunti.
Se vi interessa il libro è in prestito presso la biblioteca regionale di Aosta.
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