25 luglio 2007 |
Meno male che il pesce è leggero! Forse crudo no? Complici la cena di crostacei di ieri e il mal di gola che mi trascino da più di una settimana, ho passato una notte agitata, godendomi assai poco la cameretta così accogliente che la sig.ra Keramoal ha messo a nostra disposizione per soli 45,00 €. Il dramma vero si è consumato al tavolo della colazione - crepes calsalinghe, burro salato, marmellate, pane fresco – prelibatezze che non mi sento di mangiare causa indisposizione. La gola mi gratta come se fumassi da 40 anni – e ho smesso da diversi mesi - lo stomaco mi arde e quindi modero la masticazione. Nathan no, lui mangia tutto, eccome. Con quel suo gusto lento, quella sua capacità di assaporare tutto e di parlare con ardore dei sapori più consolidati, lui mangia tutto.
Scambiamo due chiacchiere con i nostri commensali marsigliesi, cioè, Nathi parla ed io sorrrido. Gli racconta del nostro tour de France senza doping e loro, per le prossime tappe, ci suggeriscono Plomanac, cittadina di mare lungo la costa di granito rosa. Accettiamo il suggerimento e ci mettiamo in cammino, per la prima volta durante la vacanza, troviamo traffico e passiamo diverso tempo in fila dietro alla carovana di un circo.
Ploumanach è carino, una piccola stazione balneare, nel vero senso della parola perché le grandi rocce rosa creano delle baie riparate, tanto riparate da far sembrare l’acqua stagnante. Un paesaggio diversissimo da quelle alte falesie ventose visitate finora. Da qui riprendiamo l’auto verso Lannion, piccola cittadina dalle classiche casine a graticcio – che detto tra noi oramai ci stuccano come troppe caramelle – e pranziamo in un posto all’apparenza delizioso, “Il Mulino a vento”. Mangiamo bene, io prendo un’insalata con crostoni di caprino e miele. Direte voi, e dov’è il problema? Nella proprietaria! Un’arpia dai capelli a spazzola sparati verso l’alto, che tenta di far sedere tutti in terrazza anche se il vento è gelido! Quando ci rimettiamo al volante piove, ma ormai non ci stupiamo. Niente deviazioni, proseguiamo sui nostri passi programmati.
La tappa successiva è Morlaix. Il cielo è grigio e di questo colore ci appare la cittadina, di dimensioni già più grandi rispetto alle precedenti viste in Bretagna. Morlaix si presenta con un carattere forte. L’impressione che ne ho a pelle è di arrivare in un imbuto di terra, come in una valle stretta, ma qui non ci sono montagne. A creare quest’effetto, forse, il viadotto ferroviario che, altissimo, taglia trasversalmente il cielo. La guida dice essere stato costruito dalla Compagnie des Chemins de fer de l’Ouest per il collegamento ferroviario Parigi/Brest. Indica la città come un importante nodo di smistamento merci, ricevendole dal mare e conducendole all’interno con la strada ferrata. L’impressione non è di opulenza, ma di città che nei secoli ha tribolato per accumulare mattoni e averi, sempre in misura mai esagerata. Una città di minatori, ecco cosa sembra Morlaix. E che ci posso fare, ho troppa fantasia, io! La visitiamo un po’ meglio di quel che abbiamo fatto per le precedenti soste. Camminiamo e arriviamo quasi per caso in un grande spazio aperto, quella che un tempo doveva essere il cuore economico della città, la grande piazza del mercato, ora un enorme parcheggio.
Segnalate, alcuni esempi di case a lanterna del XV-XVI sec. che vi si affacciano, tra questi la Maison de La Reine Anna. Le case a lanterna sono diverse dalle case a graticcio, anche se per poco. Le prime sono formate da due, tre piani che evidenziano i loro dislivelli sporgendo telescopici di pochi decine centimetri in più su quello inferiore. Sono maggiormente decorati in modo figurativo rispetto a quelli a graticcio, che si adornano non tanto di statue e figure ma del contrasto cromatico tra l’intonaco e il legno di irrobustimento facciata lasciato in vista. Bene, ora la smetto di fare l’architetto frustrato. In sostanza, la città non è male, ma non ci dà poi tutta ‘sta soddisfazione. Ci fermiamo a prendere un co-c-à, ormai sostitutivo di caffeina. Tornando alla macchina, ci imbattiamo per caso nella chiesa di St. Mélaine. Anonima sull’esterno, si rivela prodigiosa e sorprendente all’interno. Un gotico fiammeggiante in legno di dimensioni mignon, bella, immancabile! Rimontiamo in macchina per sfuggire alla pioggia che incalza.
Un po’ stufi di tutta questa acqua dal cielo – ma non doveva essere un’estate record per la siccità? – ci dirigiamo verso St. Thegonnec, piccolo centro lungo la strada verso il nostro celtico B&B, dove è segnalato un bellissimo “calvario”. Il “calvario” penso sia una forma di rappresentazione scultorea della crocifissione tipicamente francese, dato che in Italia non ne ho mai visti. Detto tra noi a me non piace molto, anzi mi pare anche un po’ di cattivo gusto, questa rappresentazione a dimensione quasi naturale. Neanche a farlo apposta, a Nathi piace un casino.
Per fortuna diluvia, altrimenti, preso com’è da questa nuova forma artistica, magari avrebbe voluto percorrere la strada degli “enclos paroissiaux”, cioè un itinerario di 80 km attorno a Morlaix che tocca in diverse parrocchie esempi di “passioni” nei loro “recinti sacri”. Sotto i k-way, giungiamo alla nostra prima e unica tappa sulla “Passione del Cristo”. La chiesa non è più svettante, come quelle gotiche viste finora. È massiccia, grigia, cinta da un muretto basso, oltrepassabile tramite un varco coperto, che conduce al recinto e da questo all’ingresso laterale dell’edificio sacro. Si passa necessariamente davanti al retro del gruppo scultoreo della Passione. Una moltitudine di figure sgraziate e sproporzionate, una via di mezzo tra il nostro Wiligelmo e la tradizione hindù. Un carattere bretone forse, molto gnomo e poco folletto. Dentro, il chiasso. Non è così di solito per le chiese, ma sembra che questo barocco sfarzoso porti, la comitiva con cui condividiamo la visita, a parlare a voce alta. Insopportabile. Non mi spiace proprio sorvolare l’architettura bretone. Ripartiamo intenzionati ad andare a riposarci nel B&B in località Brennilis. Diciamo che molto tempo lo impieghiamo per trovare la strada, talmente ci sentiamo persi che Nath - un uomo, tengo a ribadire - scende per chiedere informazioni. (Com’è quella storia che gli uomini non chiedono informazioni e le donne non sanno leggere le cartine?)
Ci dobbiamo arrivare prima delle 18.00, come si erano raccomandati perché, dopo quell’ora devono servire a tavola… e noi l’avevamo prenotata o no, la cena? Perchè qui nei paraggi sembra non esserci proprio nessuno! Staremo alla sorte! Quando lo troviamo ci sembra un miraggio: “la comune”. L’abbiamo ribattezzato così, questo posto, perché, nella presentazione della guida, dice che vengono fatte serate a tema celtico, con leggende ecc… li definisce i pionieri dello spirito bretone. Parcheggiamo, tutto deserto. Reception chiusa, ci addentriamo in cucina. Prima incontriamo una cameriera dall’occhio torto - un A-Igor al femminile - poi arriva Madame Bretonne in persona, piccola, mora, vestita di nero, scarpe tonde rosse, una fatina in miniatura insomma. Ci elogia talmente tanto la cena che ci facciamo convincere a prenotare, qui non è come da Chez Francois! Ostenta ben 5 ore di cottura per le prelibatezze tipiche, che dire… sono le 5 ore che ci convincono - non malignate - non certo l’inesistenza di alternative! La camerina è carina, tutta azzurra e con il bagno roulotte modello luxor, un po’ umida se vogliamo, ma lì tutto era umido! Continuava a diluviare, non aveva smesso da ore. Cosa c’è di meglio in questa situazione di una doccia calda e una sfrugolata sotto le coperte prima di cena?
Ci presentiamo a cena con diverse aspettative, con tutto quelle ore di cottura! La sala è deliziosa e accogliente, il camino scoppietta in un angolo. Ordiniamo da bere birra indigena, rinunciando allo sfizioso sidro - che a casa non berresti mai! – risultato: la mia birra bretone sa di sapone, quella di Nath è un po’ meglio, ma la scelta non è stata delle migliore. La cena si compone di due portate, la prima ci lascia alquanto delusi in fatto di gusto ma ci tempra il fisico da tutto quell’umido: brodino di cavolo con pane raffermo. Scipido. Il secondo piatto più gustoso ma non tanto da giustificare tutta quelle ore di cottura: carne lessa di manzo + pancetta arrosto, patate e cavolo lessi conditi con sale grosso, due salsine granulose, una dolce e l’altra salata. Da copiare il sale grosso sulle verdure lesse: gustoso. Il dolce, un semolino con una prugna dentro.
Conclusione: la tradizione gastronomica bretone è povera e di ristretta varietà (mi ricorda una certa patata bollita…).
Ci dobbiamo arrivare prima delle 18.00, come si erano raccomandati perché, dopo quell’ora devono servire a tavola… e noi l’avevamo prenotata o no, la cena? Perchè qui nei paraggi sembra non esserci proprio nessuno! Staremo alla sorte! Quando lo troviamo ci sembra un miraggio: “la comune”. L’abbiamo ribattezzato così, questo posto, perché, nella presentazione della guida, dice che vengono fatte serate a tema celtico, con leggende ecc… li definisce i pionieri dello spirito bretone. Parcheggiamo, tutto deserto. Reception chiusa, ci addentriamo in cucina. Prima incontriamo una cameriera dall’occhio torto - un A-Igor al femminile - poi arriva Madame Bretonne in persona, piccola, mora, vestita di nero, scarpe tonde rosse, una fatina in miniatura insomma. Ci elogia talmente tanto la cena che ci facciamo convincere a prenotare, qui non è come da Chez Francois! Ostenta ben 5 ore di cottura per le prelibatezze tipiche, che dire… sono le 5 ore che ci convincono - non malignate - non certo l’inesistenza di alternative! La camerina è carina, tutta azzurra e con il bagno roulotte modello luxor, un po’ umida se vogliamo, ma lì tutto era umido! Continuava a diluviare, non aveva smesso da ore. Cosa c’è di meglio in questa situazione di una doccia calda e una sfrugolata sotto le coperte prima di cena?
Ci presentiamo a cena con diverse aspettative, con tutto quelle ore di cottura! La sala è deliziosa e accogliente, il camino scoppietta in un angolo. Ordiniamo da bere birra indigena, rinunciando allo sfizioso sidro - che a casa non berresti mai! – risultato: la mia birra bretone sa di sapone, quella di Nath è un po’ meglio, ma la scelta non è stata delle migliore. La cena si compone di due portate, la prima ci lascia alquanto delusi in fatto di gusto ma ci tempra il fisico da tutto quell’umido: brodino di cavolo con pane raffermo. Scipido. Il secondo piatto più gustoso ma non tanto da giustificare tutta quelle ore di cottura: carne lessa di manzo + pancetta arrosto, patate e cavolo lessi conditi con sale grosso, due salsine granulose, una dolce e l’altra salata. Da copiare il sale grosso sulle verdure lesse: gustoso. Il dolce, un semolino con una prugna dentro.
Conclusione: la tradizione gastronomica bretone è povera e di ristretta varietà (mi ricorda una certa patata bollita…).
(Nathan: eh?)
mappa
6 commenti:
Bè secondo me è proprio nel dna maschile non voler assolutamente chiedere informazioni per la strada a costo di fare il giro del mondo... ;-)
tutto bene il we??
silvia
ciao Silvia!
abbiamo passato un bel weekend gastronomico e letterario in giro tra le province Parma, Reggio e Modena!
domani, se tutto va bene, troverai la cronaca
ciao.
Bè a questo punto vi mancano Bologna e la Romagna....
Silvia :-)
ieri avevo lasciato un saluto per voi sul vostro blog ma oggi mi accorgo che non c'è....moooolto strano!
cmq tantissimi cari saluti e bentrovati,
Regina
ciao Regina! Ciao Silvia!!
tra poco finirà anche la saga NOrmandia e Bretagna!
... Nath ha una sorpresa per il pomeriggio, il bel racconto del week end emiliano!
per Bologna ci attrezzeremo il 15 settembre, come detto, ci mancherebbe ancora Piacenza e la Romagna, ma ci diamo te....
a presto
Bè io la Romagna la conosco praticamente meglio di Bologna ed è molto più bella...)quindi quando volete andarci vi darò tutte le informazioni possibili!
a presto silvia :-)
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