Stamattina siamo tornati ad Asakusa. A piedi ci si arriva in pochi minuti dal nostro hotel. Le serrande abbassate di ieri sera ci hanno spinti a tornarci con la luce del sole. La Francese avrebbe comprato tutto quello che vedeva. Dalle ciotole per la soba agli aquioloni, dalle stampe d'epoca ai geta, dagli scampoli di stoffa colorata ai calzini con le dita.
Il tempio Senso-ji era più bello sotto l'illuminazione di ieri sera, ma in compenso i canti dei monaci ci hanno in parte ripagato della doppia visita.
L'Asahi building di Philip Stark, a vederlo dal di qua del fiume, è quello che è, quello che ne pensano la maggior parte degli abitanti del quartiere...
A pranzo, ancora ad Asakusa, ci hanno sistemato a un tavolo tipico giapponese. Abbiamo ordinato kashiwa e okame e mangiato con le ginocchia che proprio non ne volevano sapere di stare sotto al tavolo. La circolazione sanguigna verso metà pranzo ha deciso di rifiutarsi di scendere fino ai piedi e rialzandomi, alla fine, ho avuto la netta sensazione che le anche avessero cambiato la loro sede naturale. Ma in ogni caso ne siamo usciti vivi e confortati. Costo 2.200 yen.
Il pomeriggio l'abbiamo passato a ciondolare a Shibuya e a guardare la gente all'incrocio dalla vetrina di Starbucks al primo piano bevendo due robe dal gusto orribile, curiosare tra i manga di Mandarake (purtroppo incellophanati, molto meglio quindi il Book off di Asakusa-dori, direi. Al Mandarake di Nakano alla fine non ci siamo andati, per il tempo che scarseggia sempre e un mezzo "intoppo interpretativo" della Lonely...).
In metropolitana un torinese seduto di fronte a noi, nel tempo di poche fermate, ci ha raccontato la sua vita di ricercatore universitario, i suoi 9 anni a Kyoto e la sua attuale sistemazione a Yokohama, i problemi con l'ambasciata Italiana, la sua nuova famiglia giapponese, lo spirito collaborativo dell'ambiente accademico di questo Paese, così lontano dalle baronie e le guerre tra le cordate dei docenti italiani e di come, padroneggiando la lingua, sia stato facile e naturale essere coinvolto in un circolo virtuoso e premiante. Ancora una volta un segnale di quanto sia sorprendente il Giappone.
La serata, invece, l'abbiamo passata in baia. Ad Odaiba, ma questo è mio umile giudizio, vale la pena osservare le luci mozzafiato della città al buio della notte. Il resto, ma...
E per terminare: ultima cena edochiana a Shibuya, nel sushi bar del nostro primo giorno in città.
Domattina partenza per Kyoto.
Con un certo rammarico per la prospettiva di lasciarci alle spalle questa fantastica città.
Foto. Eh, le foto...
Il tempio Senso-ji era più bello sotto l'illuminazione di ieri sera, ma in compenso i canti dei monaci ci hanno in parte ripagato della doppia visita.
L'Asahi building di Philip Stark, a vederlo dal di qua del fiume, è quello che è, quello che ne pensano la maggior parte degli abitanti del quartiere...
A pranzo, ancora ad Asakusa, ci hanno sistemato a un tavolo tipico giapponese. Abbiamo ordinato kashiwa e okame e mangiato con le ginocchia che proprio non ne volevano sapere di stare sotto al tavolo. La circolazione sanguigna verso metà pranzo ha deciso di rifiutarsi di scendere fino ai piedi e rialzandomi, alla fine, ho avuto la netta sensazione che le anche avessero cambiato la loro sede naturale. Ma in ogni caso ne siamo usciti vivi e confortati. Costo 2.200 yen.
Il pomeriggio l'abbiamo passato a ciondolare a Shibuya e a guardare la gente all'incrocio dalla vetrina di Starbucks al primo piano bevendo due robe dal gusto orribile, curiosare tra i manga di Mandarake (purtroppo incellophanati, molto meglio quindi il Book off di Asakusa-dori, direi. Al Mandarake di Nakano alla fine non ci siamo andati, per il tempo che scarseggia sempre e un mezzo "intoppo interpretativo" della Lonely...).
In metropolitana un torinese seduto di fronte a noi, nel tempo di poche fermate, ci ha raccontato la sua vita di ricercatore universitario, i suoi 9 anni a Kyoto e la sua attuale sistemazione a Yokohama, i problemi con l'ambasciata Italiana, la sua nuova famiglia giapponese, lo spirito collaborativo dell'ambiente accademico di questo Paese, così lontano dalle baronie e le guerre tra le cordate dei docenti italiani e di come, padroneggiando la lingua, sia stato facile e naturale essere coinvolto in un circolo virtuoso e premiante. Ancora una volta un segnale di quanto sia sorprendente il Giappone.
La serata, invece, l'abbiamo passata in baia. Ad Odaiba, ma questo è mio umile giudizio, vale la pena osservare le luci mozzafiato della città al buio della notte. Il resto, ma...
E per terminare: ultima cena edochiana a Shibuya, nel sushi bar del nostro primo giorno in città.
Domattina partenza per Kyoto.
Con un certo rammarico per la prospettiva di lasciarci alle spalle questa fantastica città.
Foto. Eh, le foto...
2 commenti:
Si`, ma a Book Off non ci sono le chicche che ci sono da Manadarake! :-))
Per il resto, anche io non sono una fan di Odaiba e nemmeno di Starbucks, in verita` ^-^;.
I vostri racconti mi fanno rivivere i rumori, odori e sapori di Tokyo, che mi manca sempre. A settembre ci passero`, ma solo per un paio di giorni...
Aspetto i racconti di Kyoto.
Dimenticavo, per l`universita`, la gerarchia e` fortissima anche nelle universita` giapponesi, soprattutto in quelle piu` antiche e famose (anche se dipende dai dipartimenti), ma la situazione e` sicuramente meglio che in Italia. E poi hanno sicuramente molti piu` fondi, e sicuramente spesi meglio.
Alla fine tra Italia e Giappone, io ho scelto NZ, ma questa e` un`altra storia.
Posta un commento