Chissà per quanto me lo ricorderà la Francese di aver pronunciato ieri queste parole: tutto questo sole, ma non dicevano che era la stagione dei tifoni?
Ma andiamo con ordine.
Alle 9 siamo riusciti a cambiare i nostri euro. In banca, all'apertura del mattino, ci hanno accolti come un cliente stramigliardario. Erano ancora tutti in piedi, ma già alle loro postazioni e tutti (proprio tutti, compresa la signora delle pulizie) ci hanno salutati in coro. Un'impiegata ci si è fatta incontro sorridente e ci ha indicato la scale che portano al secondo piano. Qui erano già tutti all'opera, con gli occhi sui monitor e un filo di voce per comunicare: un gran silenzio in quel grande open space. Anche l'impiegata che ci ha serviti bisbigliava in un inglese incerto. Aveva una specie di divisa, gilet e gonna gessati blu, uguale a tutte le sue colleghe, ad eccezione di una babbiona a cui tutti si rivolgevano con gesti di ossequio.
E' davvero quasi inebriante la sensazione che si riceve dal modo che hanno i giapponesi di porsi. Gli inchini, i grandi sorrisi, le formule di cortesia cantilenanti ti danno l'impressione di essere un ospite speciale e importante. E si intuisce che non si tratta solo di marketing da bottegai, perché altrimenti non sarebbe diffuso ad ogni livello: dal ristorante raffinato al negozio di souvenir, dalle gentilezze sugli autobus ai sorrisi in ascensore. E' forse un tratto che distingue tutti i popoli dell'Asia orientale. Ma quando arrivi in Giappone un certo (anche solo latente) senso d'inferiorità te lo porti con te e loro, invece, sotto tutti lì composti e sorridenti, pronti a salutarti chinando il capo, a prodigarsi per soddisfare una richiesta, ad aprisi in un sorriso che conquista, a ringraziarti mille volte di essere solo passato dalle loro parti. E questo è davvero inebriante e forse, per noi turisti europei, è la peggior trappola per lo shopping. E del resto, se il Giappone è la potenza commerciale che è, non sarà anche per la loro naturale capacità di sedurre?
Usciti dalla banca ci siamo diretti in quell'estremo lembo nord di città che sconfina nella collina (ah, viste dall'alto le città giapponesi si allargano come olio nelle piane e i fondi valle. Strano come sembrino detestare le colline e le alture, fittamente ricoperte di vegetazione e quasi prive di costruzioni).
La nostra meta è il tempio Ryoan-ji e il suo giardino roccioso (un giardino proprio zen, ma zen zen! di quelli dove non c'è nulla ed è questo nulla, pare, che spinge alla contemplazione speculativa i più grandi filosofi che si trovano a passare di lì per un té).
E qui la Francese ha incollato l'occhio all'obiettivo della sua macchina semi-professionale per immortalare quel sogno di laghetto ricoperto di fiori di loto.
Partiti per Katzura (quasi dalla parte opposta della città), abbiamo imbroccato la perfetta combinazione di autobus JR (quindi compreso nel nostro Pass-quasi-partout) e metro semi-express che ci ha portato nella cittadina della rinomata villa imperiale in un batter d'occhio, dove c'è pure stato il tempo di un pranzetto veloce prima della visita prenotata (aggratis) già da venerdì scorso per le 13,30 di oggi.
Ed è stato qui, mentre nutrivamo le nostre stanche membra, che la tempesta si è scatenata su tutto il Kansai. Tuoni fulmini saette e pioggia a secchiate, a venti minuti dall'inzio della visita, a un quarto d'ora di strada (a piedi!) dalla villa. Un ombrello da 105 yen comprato alla stazione di Katsura non è servito a (come dicono nel dialetto Osaka) non infrascicarci fino all'osso.
Arrivati alla villa grondanti, con gli abiti che avrebbero avuto bisogno di una bella strizzata, al riparo sotto una tettoia, come se nulla fosse, un uomo in camicia bianca pantaloni neri e auricolare (a tutta evidenza uno 007 del servizio segreto dell'Imperatore) ci ha chiesto di esibire la prenotazione (forse gli unici 20 centimetri quadrati ancora asciutti che avevo addosso).
In sala d'attesa ci siamo, per quanto possibile, asciugati, mentre il video di presentazione della visita specificava che questa si sarebbe tenuta esclusivamente all'esterno.
Dopo pochi minuti una guida in camicia e cravata si è presentata al gruppetto di partecipanti. Dopo poche parole in giapponese, ci siamo comportati come tutti gli altri: l'abbiamo seguito. Fuori dalla sala d'attesa (inimmaginabile che una visita programmata potesse essere ritardata) ci hanno messo in mano un ombrello imperiale e in fila indiana siamo partiti sotto il diluvio. Chiudeva la fila lo 007 di cui sopra, sempre attento che nessuno si allontanasse.
A un certo punto è anche sembrato che avessero sparato non so che arma sperimentale tra le nuvole, perché ad un tratto la pioggia aveva addirittura quasi smesso.
Ma poi, tra un padiglione da té, un ponticello di pietra e sassi muschiosi, siamo arrivati alla vera e propria villa imperiale. Apoteosi di gusto e raffinatezza, ispiratrice dell'opera di Frank Lloyd Wright e di molta architettura moderna (fonte: La Francese) questa villa del seicento, rifugio di imperatori e parentela assortita non ha potuto essere catturata dal sapiente obiettivo della Francese, per via della pioggia.
E qui, al cospetto di cotanta sublime bellezza, la tempesta ha ripreso con ancora più forza di prima, con fulmini che cadevano a pochi metri da noi e tuoni che sembravano lacerare la terra. E in questo scenario da fine del mondo, che cosa facevano tutti i giapponesi con noi? Allora: lo 007 ci guardava a distanza da sotto il suo ombrello senza un movimento percettibile che fosse uno, le signore del gruppo si lasciavano andare a qualche risolino, la guida continuava imperturbabile la sua spiegazione solo aggiustandosi di tanto in tanto il nodo della cravatta quando il bombardamento di un tuono più articolato degli altri copriva la sua voce.
Alla stazione di Katzura ci siamo tornati in taxi, di quelli con i coprisedili di pizzo e le porte posteriori che si aprono e chiudono da sole. E poi, ancora con il semi-express siamo tornati a Kyoto, in Karasuma-dori. Da qui ci siamo inoltrati in Shijo-dori, fino a Gion, bighellonando nella frescura del temporale, tra una libreria (dove ho preso questo e questo manga, tra i pochi disponibili con traduzione in inglese), negozi di té e di souvenir.
Su Shijo-dori abbiamo anche trovato un sushi bar tecnologico, dove, oltre al carrellino che trasporta i piattini, puoi ordinare quello che ti pare da un monitor davanti te e in pochi secondi uno shinkansen in minuatura ti consegna l'ordinazione. Il nome era scritto solo in ideogrammi, ma sull'insegna c'erano due tartarughe tipo ninja. Il tutto a soli 1.400 yen (nemmeno 5 euri a testa eh!).
Che paese il Giappone!
Ma andiamo con ordine.
Alle 9 siamo riusciti a cambiare i nostri euro. In banca, all'apertura del mattino, ci hanno accolti come un cliente stramigliardario. Erano ancora tutti in piedi, ma già alle loro postazioni e tutti (proprio tutti, compresa la signora delle pulizie) ci hanno salutati in coro. Un'impiegata ci si è fatta incontro sorridente e ci ha indicato la scale che portano al secondo piano. Qui erano già tutti all'opera, con gli occhi sui monitor e un filo di voce per comunicare: un gran silenzio in quel grande open space. Anche l'impiegata che ci ha serviti bisbigliava in un inglese incerto. Aveva una specie di divisa, gilet e gonna gessati blu, uguale a tutte le sue colleghe, ad eccezione di una babbiona a cui tutti si rivolgevano con gesti di ossequio.
E' davvero quasi inebriante la sensazione che si riceve dal modo che hanno i giapponesi di porsi. Gli inchini, i grandi sorrisi, le formule di cortesia cantilenanti ti danno l'impressione di essere un ospite speciale e importante. E si intuisce che non si tratta solo di marketing da bottegai, perché altrimenti non sarebbe diffuso ad ogni livello: dal ristorante raffinato al negozio di souvenir, dalle gentilezze sugli autobus ai sorrisi in ascensore. E' forse un tratto che distingue tutti i popoli dell'Asia orientale. Ma quando arrivi in Giappone un certo (anche solo latente) senso d'inferiorità te lo porti con te e loro, invece, sotto tutti lì composti e sorridenti, pronti a salutarti chinando il capo, a prodigarsi per soddisfare una richiesta, ad aprisi in un sorriso che conquista, a ringraziarti mille volte di essere solo passato dalle loro parti. E questo è davvero inebriante e forse, per noi turisti europei, è la peggior trappola per lo shopping. E del resto, se il Giappone è la potenza commerciale che è, non sarà anche per la loro naturale capacità di sedurre?
Usciti dalla banca ci siamo diretti in quell'estremo lembo nord di città che sconfina nella collina (ah, viste dall'alto le città giapponesi si allargano come olio nelle piane e i fondi valle. Strano come sembrino detestare le colline e le alture, fittamente ricoperte di vegetazione e quasi prive di costruzioni).
La nostra meta è il tempio Ryoan-ji e il suo giardino roccioso (un giardino proprio zen, ma zen zen! di quelli dove non c'è nulla ed è questo nulla, pare, che spinge alla contemplazione speculativa i più grandi filosofi che si trovano a passare di lì per un té).
E qui la Francese ha incollato l'occhio all'obiettivo della sua macchina semi-professionale per immortalare quel sogno di laghetto ricoperto di fiori di loto.
Partiti per Katzura (quasi dalla parte opposta della città), abbiamo imbroccato la perfetta combinazione di autobus JR (quindi compreso nel nostro Pass-quasi-partout) e metro semi-express che ci ha portato nella cittadina della rinomata villa imperiale in un batter d'occhio, dove c'è pure stato il tempo di un pranzetto veloce prima della visita prenotata (aggratis) già da venerdì scorso per le 13,30 di oggi.
Ed è stato qui, mentre nutrivamo le nostre stanche membra, che la tempesta si è scatenata su tutto il Kansai. Tuoni fulmini saette e pioggia a secchiate, a venti minuti dall'inzio della visita, a un quarto d'ora di strada (a piedi!) dalla villa. Un ombrello da 105 yen comprato alla stazione di Katsura non è servito a (come dicono nel dialetto Osaka) non infrascicarci fino all'osso.
Arrivati alla villa grondanti, con gli abiti che avrebbero avuto bisogno di una bella strizzata, al riparo sotto una tettoia, come se nulla fosse, un uomo in camicia bianca pantaloni neri e auricolare (a tutta evidenza uno 007 del servizio segreto dell'Imperatore) ci ha chiesto di esibire la prenotazione (forse gli unici 20 centimetri quadrati ancora asciutti che avevo addosso).
In sala d'attesa ci siamo, per quanto possibile, asciugati, mentre il video di presentazione della visita specificava che questa si sarebbe tenuta esclusivamente all'esterno.
Dopo pochi minuti una guida in camicia e cravata si è presentata al gruppetto di partecipanti. Dopo poche parole in giapponese, ci siamo comportati come tutti gli altri: l'abbiamo seguito. Fuori dalla sala d'attesa (inimmaginabile che una visita programmata potesse essere ritardata) ci hanno messo in mano un ombrello imperiale e in fila indiana siamo partiti sotto il diluvio. Chiudeva la fila lo 007 di cui sopra, sempre attento che nessuno si allontanasse.
A un certo punto è anche sembrato che avessero sparato non so che arma sperimentale tra le nuvole, perché ad un tratto la pioggia aveva addirittura quasi smesso.
Ma poi, tra un padiglione da té, un ponticello di pietra e sassi muschiosi, siamo arrivati alla vera e propria villa imperiale. Apoteosi di gusto e raffinatezza, ispiratrice dell'opera di Frank Lloyd Wright e di molta architettura moderna (fonte: La Francese) questa villa del seicento, rifugio di imperatori e parentela assortita non ha potuto essere catturata dal sapiente obiettivo della Francese, per via della pioggia.
E qui, al cospetto di cotanta sublime bellezza, la tempesta ha ripreso con ancora più forza di prima, con fulmini che cadevano a pochi metri da noi e tuoni che sembravano lacerare la terra. E in questo scenario da fine del mondo, che cosa facevano tutti i giapponesi con noi? Allora: lo 007 ci guardava a distanza da sotto il suo ombrello senza un movimento percettibile che fosse uno, le signore del gruppo si lasciavano andare a qualche risolino, la guida continuava imperturbabile la sua spiegazione solo aggiustandosi di tanto in tanto il nodo della cravatta quando il bombardamento di un tuono più articolato degli altri copriva la sua voce.
Alla stazione di Katzura ci siamo tornati in taxi, di quelli con i coprisedili di pizzo e le porte posteriori che si aprono e chiudono da sole. E poi, ancora con il semi-express siamo tornati a Kyoto, in Karasuma-dori. Da qui ci siamo inoltrati in Shijo-dori, fino a Gion, bighellonando nella frescura del temporale, tra una libreria (dove ho preso questo e questo manga, tra i pochi disponibili con traduzione in inglese), negozi di té e di souvenir.
Su Shijo-dori abbiamo anche trovato un sushi bar tecnologico, dove, oltre al carrellino che trasporta i piattini, puoi ordinare quello che ti pare da un monitor davanti te e in pochi secondi uno shinkansen in minuatura ti consegna l'ordinazione. Il nome era scritto solo in ideogrammi, ma sull'insegna c'erano due tartarughe tipo ninja. Il tutto a soli 1.400 yen (nemmeno 5 euri a testa eh!).
Che paese il Giappone!
(le foto di oggi sono qui sotto)
5 commenti:
Qua nell'isola sperduta in fondo a DX della mappa piove da 2 settimane, non ne posso piu'. E dall'antartide arriva un vento gelido, giusto per ricordarmi che c'e' solo ghiaccio oltre il mare che vedo dalla finestra.
Vi invidio un po, nonostante il diluvio :-))
In Italia invece è tornato il caldo e la mia pressione è piccola piccola... In attesa delle nuove puntate *(^_^)*
..a Miyajima invece fa un gran caldo, ancora di piu nell`onsen dell`iwaso :)
e ovviamente qui niente connessione se non fugace
a presto
aarghh, ho dimenticato un apostrofo!
Aspetto i resoconti dall'albergo extralusso.
Ecco, bravi, diffondete il verbo, si tratta di apostrofo, e non di accento.
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