24 luglio 2007 |
Con la dolcezza si ottiene tutto: le ostriche finalmente!
Nathan è sceso per accertarsi che nei 30,00 euro per la notte al Richmond, non ci sia compresa la colazione. Risale. Niente colazione. Meno male.
Ripartiamo contenti di lasciare la roulotte e St. Lunaire, che come località, nel suo insieme, non è male, sia chiaro. Ci siamo messi in macchina seguendo la strada costiera, alla ricerca di bar un accogliente per la colazione e per pianificare le nostre ultime tre notti in Bretagna. È importante in un viaggio itinerante come il nostro che il ricovero serale sia accogliente. E poi, lo devo dire, io se non mi sento a mio agio, non sono molto di compagnia, soprattutto in camera da letto. Chiaro no? Dato che siamo nel nostro “mese di miele”, il nostro intero mese insieme, dato che dopo agosto non sarà più così, sarà il caso di darsi un po’ da fare no?
(Nathan: eh, direi!)
Al paese dopo St. Lunaire, Sain-Briac-sur-mer, ci fermiamo al primo bar e, dopo esserci già accomodati, ci accorgiamo che non è molto fornito. Gli strappiamo comunque la colazione, tè e croissant burrosissimi. Attorno a noi personaggi particolari: un gruppo di signore anzianotte cinguettano tra un sorso di caffè-sciaquone e un morso di brioche; un signore del posto ordina al banco cafè-au-lait e apre la sua personale scartatina, dalla quale tira fuori un pain-au-cioccolat (comprata probabilmente al vicino mercato). Eh, lui lo sapeva che il pregio di questo locale non è la varietà. Bho! Noi mangiamo, e poi accantoniamo il pentolame per apparecchiare nuovamente la tavola con mappe e giude. Nathan inizia a fare le prime telefonate. Decisamente non c’è l’immediata disponibilità dell’inizio vacanza. Trovare le prossime tre sistemazioni per la notte non è semplice. Guadagniamo solo la prossima e l’ultima, per la seconda ci ripenseremo, Nath incomincia a sclerare dopo tutte queste telefonate
(Nathan: tutto sotto controllo comunque). E finalmente possiamo partire, misureremo il nostro itinerario conseguentemente alle tappe per la notte. Ma viaggiamo pochissimo. Dopo 200 mt ci accorciamo che a Saitn-Briac c’è un mercato speciale e ri-parcheggiamo per gironzolarci un po’. La prima parte di gastronomia regionale è speciale, fiori, coquillage, salamini, formaggi di capra… uhmm che bontà! Sarebbe necessario viaggiare con una cella frigo, non con l’auto!
Ripartiamo a mani vuote per impossibilità di fare altrimenti, alla volta di Cap Frèhel. Una delle innumerevoli lingue di terra bretone sfacciatamente incuneate nel mare, che si alternano a riparate baie sabbiose, dove la bassa marea lascia a bocca asciutta le barche. Per arrivarci, attraversiamo tutta la Costa di Smeraldo. Come consuetudine, appena messo il piede fuori dalla macchina, ha incominciato a piovere. Orami non ci scoraggiamo, infiliamo i nostri k-way gemelli allacciandoli fin dove possibile per ripararci dal vento e affrontiamo le intemperie. Sono un po’ tutti uguali questi posti, c’è il faro, i sentieri tra le eriche serlvatiche, le falesie, il mare in burrasca, troppi turisti sulle solite rotte. Nonostante tutto rimangono luoghi enormemente suggestivi, forse per la completa diversità dal nostro mediterraneo. Non ci tratteniamo molto, anche se il parcheggio è valido per un’intera giornata, come si era premurato di chiedere Nathan alla giovine che ci ha ritirato la grana.
Scendendo lungo la strada che costeggia il mare, avvistiamo diverse spiaggette riparate dal vento e affollate di bagnanti. Ci facciamo allettare da un po’ di vita di mare. Parcheggiamo, ci spogliamo, scendiamo ripidi sentieri tra arbusti spinosi per accovacciarci a leggere tra le rocce, baciati dal sole che per sua grazia, ha deciso di riscaldarci la pelle e il cuore. Leggiamo insieme Perissinotto, schiacciati l’uno contro l’altro, sciovolando in un dolce sonno. Mi risveglio per i gridolini dei nostri vicini di asciugamano e i morsi della fame. Alle 15.00, complice anche l’ustione alla spalla destra, rimasta esente dell’alta protezione che di solito mi do ovunque, ci avviamo verso la nostra prossima tappa: Treguier. Tappa di cui non sappiamo molto ma vicino alla quale si trova il nostro B&B. Lungo il percorso facciamo due soste, l’Abbaye di Beauport, adesso rudere ma nel XIII tappa fondamentale verso la meridionale Roncisvalle e il cammino di Santiago - ma non la visitiamo dentro, guardiamo solo il giardino, perchè biglietto troppo caro per una toccata e fuga - poi Paimpol, cittadina marinara un po’ irlandese, dove ci fermiamo a masterizzare la sim della macchina fotografica e prender un gelatone mega al tavolino. Qui ho obbligato, contro il suo volere, l’AmoreMio a fare qualche telefonata, ottenendo così anche l’alloggio per la terza notte. Soddisfatte tutte le necessità - merenda e sicurezza di “intimità” per la notte - abbastanza presto rispetto all’ora tarda in cui, di solito, ci presentiamo presso gli chambres d’hotes, ci avviamo verso Krec’h Choupot, nome impronunciabile, dove ci aspettano i signori Keramoal. La strada per arrivarci è semplice, ma queste sono informazioni che hai solo dopo esserci giunto. Il luogo è delizioso , una casa indipendente lungo la strada, con un giardino ben curato, un salice piangente enorme, un orto fruttuoso sul retro. La camera si rivela di gran lunga la migliore vista fin’ora. Una pulizia impeccabile, meglio che a casa mia!
Nath, nella conversazione di rito con i padroni di casa, coglie il mio suggerimento, e chiede consiglio su dove andare a mangiare un buon piatto di ostriche nei paraggi. Ma perché se a lui non piacciono? Perché avevo attuato un mio piano, una minaccia!
- Amore, siamo qui da più di una settimana e per il semplice fatto che non piacciono a te non abbiamo MAI mangiato ostriche!? Ti rendi conto!?!
Lui obbiettava dicendo, come tra l’altro è vero, che quando s’incappava nelle ostriche avevamo di solito appena mangiato, e che quando c’abbiamo provato, come da Le Hamelinet, non c’erano loro, le ostriche. Bene è lì che ho dovuto tirare un colpo sotto la cintola.
(Nathan: scorretta!)
- Ok, io te lo dico eh… se non riusciamo a mangiarle qui, quando torniamo a casa, mi porti nel posto più sciccoso di Firenze, a mangiarle!!
Un ricatto vero e proprio, ma era quello che ci voleva. La sera stessa di questa solenne proclamazione, il mio Nathan ha chiesto consiglio alla sciura del B&B che ci indirizzato verso l’ottava meraviglia del mondo: la poissonnerie J.P. Moulinet, che di giorno vende pesce al kg e di sera fa degustazione al piano di sopra. Non stavo più nella pelle! Sono quelle cose che paiono genuine e mi fanno letteralmente impazzire. Per l’occasione, smetto i panni “pratici” da turista, per l’unico “vestitino” un po’ più elegante che mi ero concessa in questo viaggio spartano (sì perché per tirarsi le valige in camere diverse tutte le sere devono essere leggere…). Bene, partiamo per andare a mangiare le ostriche e si alza un vento gelido. IO batto letteralmente i denti, ma non voglio, ovviamente darlo a vedere, quindi mi metto subito addosso tutto quello che ho. Parcheggiamo nella piazza alta e troviamo subito il paradiso delle ostriche! Il banco del pesce è vuoto ma i rumori di sedie e piatti al primo piano sono una melodia bellissima. Ci accomodiamo tra il banco della pseudo-cucina e due indigeni impegnatissimi con il loro plateau royal. Inebriata, li guardo cavare molluschi con l’ago dalle piccole chioccioline e spaccare chele con lo schiaccianoci o come si chiama. Studiamo la carta e ordiniamo dopo qualche richiesta di spiegazioni. Tra queste richieste, una in particolare ha suscitato l’ilarità dei nostri vicini di tavolo, che detto tra noi incominciavano a rimanermi sulle xxlle! Bhè, noi da meridionali d’Europa chiediamo un vino bretone, senza pensare che qui l’eccessivo vento e l’aria salmastra non si confà al pregiato nettare, loro ridono di questa assurda richiesta e ci indirizzano verso gli alsaziani. Quando anche a noi arriva il piatto reale, si aprono le danze: un armonioso movimento coordinato di mascelle, mani e labbra, per estirpare o succhiare, la maggior quantità possibile di ciccia-mollusca da quei gusci di mare (ostriche “huitres”, cozze, gamberi, scampi, astice “homar” e chioccioline). Solo una nota negativa: una turista milanese. Una sciura alquanto ricercata al cellulare e alquanto rumorosa, nonostante le pressioni del marito molto più conscio di lei che ci stava rompendo le xxlle a tutti quanti.
Io esco a pancia stra-piena. Nathan invece, non fosse stato per il bis di quel dolce a chiocciolina tutto burro che avevamo già mangiato a St-Malò, si alzerebbe con la fame, visto che alla fine ho mangiato quasi tutto io! E così, inebriati dalla cena e dal vino, cerchiamo immediatamente la strada della cameretta così graziosa nella quale passeremo un'altra notte abbracciati.
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