22 luglio 2007 |
Ripartiamo dalla fattoria di Nicole per il Mont-Saint-Michel, percorrendo un pezzo di strada sulla costa. Nell’aria aleggia una certa tensione per i disaccordi sulla strategia da adottare per trovare un alloggio per la notte. Continuare a telefonare a vuoto o passare la giornata visitando il Monte e occuparsi della camera solo al momento in cui se ne presenta la necessità e l’opportunità lungo il cammino?
A Genets fermo la macchina e ci avviamo a piedi nel centro abitato. Sul ciglio della strada esplode la discussione. Appena dico che stiamo scioccamente sottraendo del tempo utile alla visita del Monte e che avremmo potuto spostarci a fine giornata verso Rennes trovando una stanza in uno degli innumerevoli alberghi che circondano le città francesi, la Francese decide in aperta polemica di tornare sui suoi passi, mentre io proseguo verso il centro del paese.
A Genets fermo la macchina e ci avviamo a piedi nel centro abitato. Sul ciglio della strada esplode la discussione. Appena dico che stiamo scioccamente sottraendo del tempo utile alla visita del Monte e che avremmo potuto spostarci a fine giornata verso Rennes trovando una stanza in uno degli innumerevoli alberghi che circondano le città francesi, la Francese decide in aperta polemica di tornare sui suoi passi, mentre io proseguo verso il centro del paese.
(Francese: ma va, bugiardo. Hai detto letteralmente: “lo sai, vero, che il tempo che perdiamo per strada a cercare un alloggio è tutto tempo sottratto alla visita? Un aperto ricatto al quale non ho voluto cedere. E a ragione…).
Infatti, è quello che ho detto. Insomma, proseguo da solo e trovo un ristorante. Chez François, l'insegna dice Chambres. All’interno un grande camino e grandi pezzi di carne che sfrigolano sulle griglie. Chiedo al cuoco, che è anche cameriere e affittacamere, François, appunto, cappello da cuoco e volto alla Belmondo, se ha una stanza libera. Risponde di sì ma che purtroppo per la cena il ristorante è tutto prenotato. Poco male, penso, a noi, interessa la camera. Ok, gli dico, recupero “ma femme” e ritorno. Torno alla macchina e annuncio (trionfante) che ho trovato la camera (tié!). Le camere in realtà sono due, doccia e lavandino in camera, toilette comune in corridoio. Non bellissime, anzi bruttine, ma per 30 euro e, vista la difficoltà momentanea, vanno bene (meglio non fare confronti con la camera che abbiamo lasciato).
La ragazza al piano ci lascia scegliere. Dopo qualche tentennamento la Francese decide per quella
che le sembra più spaziosa, quella con il tavolino per gli appunti che diventeranno questa cronaca.
Dopo aver preso possesso della camera, scendiamo al piano terra passando per la cucina dove scambiamo due parole con un sardonico François e il suo simpatico aiuto-cuoco, probabilmente irlandese, occupato a sbucciar patate. La Francese è rapita dal profumo che arriva dalla sala da pranzo.
“E’ un peccato che non ci sia proprio posto per cenare e nemmeno per pranzare qui”, dico a François, cercando di tastare l’eventualità di un tavolino per due in un angolo nascosto. “Sì, è proprio un peccato”, mi risponde lui sorridendo con la sigaretta alla Humphrey Bogart tra le labbra.
Dopo una sosta al punto informazioni di Genet, dove una solerte e curiosa impiegata ci trattiene per un tempo che sembra lunghissimo illustrandoci l’avventurosa esperienza di una traversata a
piedi di sette chilometri sulla sabbia melmosa da Genet al Mont, dopo una carezza al gatto Caramel, prendiamo l’auto e andiamo.
Il Mont Saint-Michel, dentro, è una sorta di San Marino in balìa delle maree. Il più bello è arrivarci, osservare il piatto paesaggio, le mucche e le pecore che brucano l’erba sullo sfondo di un monte che ha il profilo incantato da fiaba della buonanotte. La strada che percorriamo per arrivarci è di diversi chilometri. Un primo tratto di super-strada e poi un lento avvicinarsi sopra un nastro di asfalto, in un percorso punteggiato di insegne di chambres d’hotes e piccoli alberghi, e io (ovviamente) do la colpa all’ansia della Francese che ci ha spinti a prendere alloggio così lontano (ma lo dico solo tra le righe e con il sorriso sulle labbra…).
La ragazza al piano ci lascia scegliere. Dopo qualche tentennamento la Francese decide per quella
che le sembra più spaziosa, quella con il tavolino per gli appunti che diventeranno questa cronaca.
Dopo aver preso possesso della camera, scendiamo al piano terra passando per la cucina dove scambiamo due parole con un sardonico François e il suo simpatico aiuto-cuoco, probabilmente irlandese, occupato a sbucciar patate. La Francese è rapita dal profumo che arriva dalla sala da pranzo.
“E’ un peccato che non ci sia proprio posto per cenare e nemmeno per pranzare qui”, dico a François, cercando di tastare l’eventualità di un tavolino per due in un angolo nascosto. “Sì, è proprio un peccato”, mi risponde lui sorridendo con la sigaretta alla Humphrey Bogart tra le labbra.
Dopo una sosta al punto informazioni di Genet, dove una solerte e curiosa impiegata ci trattiene per un tempo che sembra lunghissimo illustrandoci l’avventurosa esperienza di una traversata a
piedi di sette chilometri sulla sabbia melmosa da Genet al Mont, dopo una carezza al gatto Caramel, prendiamo l’auto e andiamo.
Il Mont Saint-Michel, dentro, è una sorta di San Marino in balìa delle maree. Il più bello è arrivarci, osservare il piatto paesaggio, le mucche e le pecore che brucano l’erba sullo sfondo di un monte che ha il profilo incantato da fiaba della buonanotte. La strada che percorriamo per arrivarci è di diversi chilometri. Un primo tratto di super-strada e poi un lento avvicinarsi sopra un nastro di asfalto, in un percorso punteggiato di insegne di chambres d’hotes e piccoli alberghi, e io (ovviamente) do la colpa all’ansia della Francese che ci ha spinti a prendere alloggio così lontano (ma lo dico solo tra le righe e con il sorriso sulle labbra…).
(Francese: sì sì sorriso. L’ho detto e lo ripeto, chez François è molto più carino e originale, non avremmo potuto trovare di meglio, a trenta euro. Questi posti qua, sono brutti, tutti uguali, uff).
Gli arriviamo proprio sotto, al Monte, e lasciamo l’auto in un grande parcheggio a pagamento. Quattro euro tutto il dì, credevo peggio.
La marea, lo dice un cartello appena entrati, era fissata per le 12, ma noi siamo arrivati tardi (eh!). Quindi ci inerpichiamo tra i vicoli affollati e in cima arriviamo all'abbazia. Le sue origini risalgono già all'ottavo secolo, quando il vescovo di Avranches, dopo l'apparizione dell'arcangelo San Michele, fa costruire un "oratoire" su un precedente edificio carolingio. Ma l'edificio, come lo vediamo ora, viene iniziato nell'undicesimo secolo e, tra il tredicesimo e il quindicesimo, subisce diversi interventi. Per questo motivo l'abbazia è una fusione di elementi romanici e gotici. Fin dalla costruzione dell'abbazia, il Monte è stato meta di pellegrinaggi, persino durante la Guerra dei Cent'anni, quando, sotto il dominio inglese, ai pellegrini francesi venivano rilasciati salvacondotti (pagando il "giusto prezzo" della fede, questo è ovvio). Con il sedicesimo secolo l'abbazia conosce un progressivo degrado, fino alla sua trasformazione, ancor prima della Rivoluzione, in prigione. E' solo dal 1969 che i primi religiosi sono tornati ad animare le funzioni (fonte Guide Michelin).
Trattandosi di architettura, il mio sguardo immaturo si sofferma sul colonnato del chiostro, lo spazio maestoso e suggestivo del refettorio e la grande ruota ad argano in cui i condannati venivano fatti camminare per issare lungo le alte mura le provviste della prigione.
Dopo una pennica sul sagrato, lunghi sguardi al paesaggio, al cielo michelangiolesco e una visita al complesso (doverosamente non commentata, sebbene una simpatica ragazza avesse invitato tutti gli italiani a seguire la visita guidata – la Francese detesta i commenti delle guide anche se aggratis, anche se poi mi dice di allungare l’orecchio per sentire quello che dicono), si sono fatte le diciotto e ci siamo diretti ad Avranches, bella e vuota città murata nei pressi del Monte dove non abbiamo trovato nulla, proprio nulla da fare.
Ripartiti per Genets, sostiamo a guardare il paesaggio bucolico sorseggiando due birre nel villaggio di Saint Léonard.
Docciati, rigenerati, coccolati, ci infiliamo a letto. Con i libri in mano ci accorgiamo che la scelta della camera che sta sopra la cucina non è stata davvero delle più felici.
Visualizzazione ingrandita della mappa
Gli arriviamo proprio sotto, al Monte, e lasciamo l’auto in un grande parcheggio a pagamento. Quattro euro tutto il dì, credevo peggio.
La marea, lo dice un cartello appena entrati, era fissata per le 12, ma noi siamo arrivati tardi (eh!). Quindi ci inerpichiamo tra i vicoli affollati e in cima arriviamo all'abbazia. Le sue origini risalgono già all'ottavo secolo, quando il vescovo di Avranches, dopo l'apparizione dell'arcangelo San Michele, fa costruire un "oratoire" su un precedente edificio carolingio. Ma l'edificio, come lo vediamo ora, viene iniziato nell'undicesimo secolo e, tra il tredicesimo e il quindicesimo, subisce diversi interventi. Per questo motivo l'abbazia è una fusione di elementi romanici e gotici. Fin dalla costruzione dell'abbazia, il Monte è stato meta di pellegrinaggi, persino durante la Guerra dei Cent'anni, quando, sotto il dominio inglese, ai pellegrini francesi venivano rilasciati salvacondotti (pagando il "giusto prezzo" della fede, questo è ovvio). Con il sedicesimo secolo l'abbazia conosce un progressivo degrado, fino alla sua trasformazione, ancor prima della Rivoluzione, in prigione. E' solo dal 1969 che i primi religiosi sono tornati ad animare le funzioni (fonte Guide Michelin).
Trattandosi di architettura, il mio sguardo immaturo si sofferma sul colonnato del chiostro, lo spazio maestoso e suggestivo del refettorio e la grande ruota ad argano in cui i condannati venivano fatti camminare per issare lungo le alte mura le provviste della prigione.
Dopo una pennica sul sagrato, lunghi sguardi al paesaggio, al cielo michelangiolesco e una visita al complesso (doverosamente non commentata, sebbene una simpatica ragazza avesse invitato tutti gli italiani a seguire la visita guidata – la Francese detesta i commenti delle guide anche se aggratis, anche se poi mi dice di allungare l’orecchio per sentire quello che dicono), si sono fatte le diciotto e ci siamo diretti ad Avranches, bella e vuota città murata nei pressi del Monte dove non abbiamo trovato nulla, proprio nulla da fare.
Ripartiti per Genets, sostiamo a guardare il paesaggio bucolico sorseggiando due birre nel villaggio di Saint Léonard.
Docciati, rigenerati, coccolati, ci infiliamo a letto. Con i libri in mano ci accorgiamo che la scelta della camera che sta sopra la cucina non è stata davvero delle più felici.
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6 commenti:
Bellissima anche questa puntata!!! Ma scusate, ho sognato o oggi pome ho letto il racconto dei 5 giorni di ferragosto in quel di Aosta???
Non c'è più...
Bacioni Silvia
ops! ciao cara! ma non sarai mica già tornata vero?
eh si, ieri preparavo il pezzo di oggi e m'è.. scappato...
cmq adesso è on line con le nuove mappe in cui google ci permette di visualizzare tutti i giri che abbiamo fatto!
un abbraccio a presto
La Fra!
Eh già sono tornata, ma le vacanze finiscono domenica!!!
Buon we e a presto!
Silvia
PS
allora ci venite proprio a Bologna in settembre??
...ma dai! già tornata? ma il tempo è brutto anche da te?
uff che brutta stagione per le ferie!
certe che ci veniamo a Bologna, lo abbiamo confermato anche a Panz per email, ci farebbe molto piacere poterci incontrare e conoscere! ;)
Qua a Bo oggi pome è rispuntato il sole dopo una grigia settimana... Giovedì ero al mare e pioveva, sigh: domani ci riprovo, speriamo bene!!!
Anche a me piacerebbe molto conoscervi: vi mando una mail così poi mi fate sapere per la presentazione del libro...
Silvia :-)
letta anche la 7^ puntata ;)
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