Il risveglio con la luce che filtra a spicchi dalle veneziane, il suo braccio sotto il mio collo, la sua coscia nel mio abbraccio. Una carezza che risale dal polpaccio, l’incavo del ginocchio e ancora più su, il palmo della mia mano che assapora il ritorno alla coscienza del tatto. Un bacio sullo zigomo della Francese, le labbra che scivolano verso il taglio della bocca. Buongiorno, mio amore. Aspiro il suo sapore di mattino, il calore del sonno che lascia il passo alla tenerezza. Ancora ad occhi chiusi le sue braccia mi avvolgono, le mani percorrono la colonna vertebrale, le sue dita a contarmi le vertebre. Spingo il naso nell’ansa del collo, tasto il grado del suo sonno mordicchiando la pelle che le fodera il trapezio. E poi in discesa verso il petto, aggirandomi in quei luoghi che non permettono alla Francese di restarsene ancora inerte in ascolto delle mie provocazioni da formica. Sì che la sua stretta si fa più invitante e i miei solchi più profondi. La Francese è nella mie braccia ora, io nelle nelle sue, avvolti nel vapore delle sue parole che dicono di non allentare la presa, accolto in lei, in quella composizione di corpi che potrebbe farci affrontare l’eternità senza cura di altro, certi che mai più potremo privarci di questo momento.
Non so se Tamara de Lempicka avrebbe saputo dare forma a questo sentimento, quanti colori avrebbe rovesciato sulla tela prima di raggiungere una pur accettabile qualità della rappresentazione.
Ci siamo, a scrutare lo spazio di piazza Duomo, dopo l’amore al risveglio, la doccia caldissima e le carezze, la colazione golosa dell’albergo e la passeggiata attraverso via Montenapoleone e Manzoni, sotto un cielo azzurro e un sole stranieri a Milano, con le scie degli aerei ad indicarci il cammino. Cerchiamo un pezzo di tribù nathaniana scesa a condividere l’evento glamour, un pezzo della mia storia, una stilla di realtà che incontra il sogno. Ed eccoli i tre, avvicinarsi a gran passi, la più bassa al centro, finalmente i testimoni accorsi a provare al mio cuore la certezza che la Francese non è il frutto della mia innamorata immaginazione. E i saluti, gli sguardi che si consumano, gli accenti che si sciolgono. E sono qui, ricongiunto alle radici, i primi rami della mia foresta che raggiungono l’isola del nostro amore. Mia Francese, guardami, proietta i tuoi occhi nei miei, siamo qui, i piedi piantati a terra e l’anima in cielo, io te e gli altri con noi.
Ci siamo, a scrutare lo spazio di piazza Duomo, dopo l’amore al risveglio, la doccia caldissima e le carezze, la colazione golosa dell’albergo e la passeggiata attraverso via Montenapoleone e Manzoni, sotto un cielo azzurro e un sole stranieri a Milano, con le scie degli aerei ad indicarci il cammino. Cerchiamo un pezzo di tribù nathaniana scesa a condividere l’evento glamour, un pezzo della mia storia, una stilla di realtà che incontra il sogno. Ed eccoli i tre, avvicinarsi a gran passi, la più bassa al centro, finalmente i testimoni accorsi a provare al mio cuore la certezza che la Francese non è il frutto della mia innamorata immaginazione. E i saluti, gli sguardi che si consumano, gli accenti che si sciolgono. E sono qui, ricongiunto alle radici, i primi rami della mia foresta che raggiungono l’isola del nostro amore. Mia Francese, guardami, proietta i tuoi occhi nei miei, siamo qui, i piedi piantati a terra e l’anima in cielo, io te e gli altri con noi.
E poi Tamara.
Tamara e gli allestimenti della mostra in Italia ottant’anni fa.
Tamara e Marinetti ubriachi che decidono di dare alle fiamme il Louvre.
Tamara e i corpi nudi.
Tamara e i generosi drappeggi.
Tamara e gli occhi bovini.
Tamara e New York.
Tamara esibizionista.
Tamara glamour.
Tamara e il Novecento.
Tamara e la fama.
Tamara e il denaro.
Tamara e l’inconsistenza.
Tamara la pittrice.
Tamara de Lempicka.
Fiumi di parole spese dalla Francese davanti ai quadri, discorsi di forme e luce, parole come tratti di pennello che disegnano un microcosmo artistico dal punto di vista femminile, il più impervio e rischioso, quasi inedito per l’epoca.
E ancora fuori, alla fine, alla luce della piazza, a perlustrare i dintorni per un pranzo tardivo. Approdiamo in una caverna di profumi, via San Pietro dell’Orto, un tenore orientale e un accompagnamento al piano ad accoglierci. E’ la Salsamenteria Verdiana, incantevole angolo di ristoro.
Lasciamo agli affettati il compito di aprire le danze, alle chiacchiere in libertà di mischiarsi al piacere del gusto. Osservo la Francese conquistarsi l’interesse del mio trancio di tribù, la mia mano a ristorarsi sulla coscia. Melanzane alla parmigiana per loro, stinco di maiale per me. E’ la condivisione del desco, scriverebbe lei, l’incontro che si realizza nello spezzare il pane sulla stessa tovaglia. E’ la felicità che provo offrendo loro a lei e lei a loro.
E ci lasciamo sul marciapiede, lasciamo andare la tribù per suo conto. Io e la Francese abbiamo da consumare il nostro lungo saluto. Ancora in cammino, ancora abbracci e baci, ancora parole sui prossimi viaggi, su questa nostra storia d’amore attraverso l’Italia.
Rimango a guardare il suo viso oltre il finestrino, il treno si muove, e in un secondo me la porta via.
E ancora fuori, alla fine, alla luce della piazza, a perlustrare i dintorni per un pranzo tardivo. Approdiamo in una caverna di profumi, via San Pietro dell’Orto, un tenore orientale e un accompagnamento al piano ad accoglierci. E’ la Salsamenteria Verdiana, incantevole angolo di ristoro.
Lasciamo agli affettati il compito di aprire le danze, alle chiacchiere in libertà di mischiarsi al piacere del gusto. Osservo la Francese conquistarsi l’interesse del mio trancio di tribù, la mia mano a ristorarsi sulla coscia. Melanzane alla parmigiana per loro, stinco di maiale per me. E’ la condivisione del desco, scriverebbe lei, l’incontro che si realizza nello spezzare il pane sulla stessa tovaglia. E’ la felicità che provo offrendo loro a lei e lei a loro.
E ci lasciamo sul marciapiede, lasciamo andare la tribù per suo conto. Io e la Francese abbiamo da consumare il nostro lungo saluto. Ancora in cammino, ancora abbracci e baci, ancora parole sui prossimi viaggi, su questa nostra storia d’amore attraverso l’Italia.
Rimango a guardare il suo viso oltre il finestrino, il treno si muove, e in un secondo me la porta via.
2 commenti:
Amore mio ti voglio bene!! da morire... un mondo di bene!
siamo in due. noi due.
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