Il programma sembra ben fatto. Ho già comprato i biglietti del treno, Eurostar, tre ore di percorrenza circa. Unico piccolo dramma che mi divora è il parcheggio. Dove mettere la macchina in questa città d’arte rimasta al suo cinquecentesco splendore? Le soluzioni sono due: svegliarsi presto e cercare nelle vie prossime alla stazione un buco dove abbandonare la machine, dovrebbe essere non troppo in vista e lontano dagli sguardi azzannanti dei vigili urbani, oppure pagare una tariffa salata di sosta a quei delinquenti che gestiscono tutti i parcheggi della City?
I fogli da dieci vanno e vengono, non é per loro… quanto per il principio. Bhe, proviamo per la prima soluzione e al massimo optiamo per la seconda.
Culo! Strada chiusa per lavori, sosta libera! Wow… due passi a piedi e siamo in stazione. Il tempo non è dei migliori, ma è mattina presto, due gocce d’acqua non fanno certo un’intera giornata di pioggia! Caffè, stazione, giornale, cartello e binario. Prendiamo posto sui sedili assegnati e cominciamo a giocare con le nostre parole e con quelle di carta.
Io e Nathan non ci conosciamo da molto, dobbiamo ancora rodare le nostre mani e le nostre labbra. I nostri occhi hanno sete di pelle e dettagli, i nostri pensieri sono domande inespresse, dubbi da sciogliere e remore da dissipare. Il treno ci porta veloce nella città eterna tra un pisolino e una coccola.
Termini, stazione di Termini, calore di un Meridione, ancora più a sud di me. Aivojia Nord a vantare primati economici, il lustro che dà stare dentro le mura aureliane, nessuna griffe lo può equiparare!
La nostra meta è precisa, Mostra della Piccola e Media Editoria, Palazzo dei Congressi all’Eur. Da provinciali quali siamo, scendiamo verso la metropolitana, uno in coda alla macchinetta dei bijetti, l’altro alla ricerca di un giornalaio che li smerci più in fretta. Detto fatto. Siamo nel budello di quella rete d’aria che si sposta con le persone sottoterra. Odore preciso di Metro. C’imbarchiamo con un sacco d’altra gente e, una volta rimasti in pochi, la linea diventa di superficie e individuiamo due soggetti. Per il loro abbigliamento, per la faccia, i capelli e gli occhiali, per come parlano vorticosamente, in modo quasi patologico, captati dal discorso qualche parola, capiamo che hanno la nostra stessa destinazione: la fiera, i libri. Usciti, tra i nostri giochi video e qualche bacio appassionato, li seguiamo, prima discreti, lungo un viale che discredita i pedoni, poi dichiaratamente, quando i nostri destini si incrociano al semaforo. Ci facciamo spiegare la strada, in modo da non doverci baciare proprio sotto i loro occhi, e proseguiamo con i nostri ritmi, fatti di un camminare avvinghiati e con soste bacerecce.
Quando svoltiamo l’ultima strada del dedalo di vialoni, ecco che davanti a noi si apre il Palazzo dei Congressi:
- Ma io questo lo conosco? È il palazzo realizzato da Adalberto Libera nel ’42 per l’Esposizione Universale di Roma?
Che Francese sbadata che sono! Perché non ci ho pensato prima! Avrei potuto rileggere qualcosa, fare bella figura, raccontando al mio Nathan un po’ di info storiche e politiche di questo architetto razionalista. Bhe, oramai è tardi, non mi rimane altro che aprire gli occhi e ammirare quest’opera dalle linee moderne e dal gusto classico. Ricordo vagamente qualcosa sulle colonne… sulla loro forma… vediamo se si evince senza testo, solo dalla figura in carne e ossa… sembrano rastremate, come a voler fronteggiare la convergenza delle fughe all’infinito… e renderle rigidamente perfette… approfondirò poi.
Entriamo, fiera, libri. Connubio succulento per due onnivori di parole come noi! Perdo subito Nathan, capisco immediatamente che mi trascinerò dietro di lui, sarà lui che detterà i tempi. Che strano. Devo dire che mai avrei potuto pensare esistesse qualcuno con la tenacia di passare più tempo di me a spulciare libri in vendita. Adesso capisco tanti sbuffi d’amici e di ex fidanzati durante le mie protratte soste in libreria.
Ma è un piacere vederlo. Lo adoro quando fa così: prende un libro, guarda la coperta, legge il retro e le alette di presentazione dell’autore, apre a caso l’interno oppure se gli dice particolarmente bene, parte dalle prime pagine, e legge, legge, legge. Probabilmente è lì che cerca di cogliere quell’artigianato di produzione, quella metodologia di costruzione che ogni autore ha, che sviluppa autonomamente o attingendo da altri, dai Grandi, magari i suoi Grandi. Il mio Nathan è lì, che coglie tutto questo nel suo statico silenzio con libro in mano. Lo adoro. Mi intenerisce quando lo vedo così assorto, sembra così etereo e distante dal mondo, ma nello stesso momento è con noi, con i piedi in terra e prende le sue decisioni, acquista il libro e coscientemente, matericamente, chiede lo sconto fiera. È lui, è il mio Nathan. È un talento imbrigliato nel suo perfezionismo, nella sua precisa pignoleria, nelle sue idee di lavoro duro, di ricerca e miglioramento, nelle sue parole ricercate e precise.
Durante il viaggio ci ha accompagnato Pamuk. Sì, Omar Pamuk, il Nobel per la letteratura. Sì, l’ho tenuto in braccio con il suo discorso di Stoccolma. Diceva qualcosa che suona più o meno così:
Insomma, la nostra mattinata prosegue: ci perdiamo, io cerco lui, lui guarda i libri, io guardo i libri e guardo lui. Non compro niente. Di solito acquisto l’inverosimile in libreria, ma con lui ho soggezione. Quando sono con lui, mi sento un’intellettuale da rotocalco, da quattro soldi, una ferita pseudo-intellettuale. Forse lo sono o forse no, ma ho imparato da tempo a prendermi per quello che sono e non desiderare altro che quello che voglio essere, non quello che voglio apparire. Quindi, ripenso decisa alla montagna di libri abbandonati dopo l’acquisto per mancanza di tempo e al dolore che provo passandogli davanti, desisto dall’acquisto.
Alle 14.00 lo stomaco e la schiena cominciano a lamentarsi. Usciamo alla ricerca di viveri, sostiamo al sole che nel frattempo è uscito alto e fumiamo un cicchino, rilassati. Qualche domanda per scrutarci e scoprirci viene a galla. Lasciamo che approdino e trovino ormeggio, ho voglia di farmi conoscere. C’incamminiamo verso il centro, convinti che nella urbe caput mundi, il calore meridionale e la frequenza dei turisti ci permetta di mangiare anche a pomeriggio inoltrato. Scendiamo in Piazza Barberini e ci facciamo la salita a piedi fino a Trinità dei Monti. Lì, imperterriti e insensibili al nostro stomaco, ci perdiamo a guardare le nuvole, la folla e la casa con giardino del film L’Assedio di Bertolucci. Scendiamo. Il proposito sarebbe di scansare la folla e cercare, in pieno centro a Roma, di sabato pomeriggio, una trattoria carina e poco glamour per pranzare alle ormai 15 del pomeriggio. Giriamo tenendoci stretti e baciandoci ad ogni vicolo. Innamorati di primo pelo, è così. Arriviamo sotto l’Ara Pacis che aperta e ristrutturata nemmeno si riconosce. Chi avrà fatto il progetto? Bisognerebbe mi ricordassi di verificarlo… procediamo… entriamo in un paio di locali ma alle 16.00 hanno già tutti la cucina chiusa. Sconsolati ci riportiamo verso la calca. Una traversa tra via del corso e via del babbuino. Ci ispira un piccolo baretto con due tavolini fuori su di una pedana dove già seggono innamorati due stranieri. È il posto per noi, entro e chiedo se ci può far mangiare con piatti anche freddi. Sembra stupito dalla domanda, certo, il bar è lì per far mangiare gli avventori! Ci accomodiamo fuori e giochiamo, tra cicche, telecamera e parole. Parole poche a dire il vero, o almeno vacue, spoglie di tutte quelle domande, quelle richieste che il nostro stadio d’innamorati ancora estranei richiederebbe, ma verranno, me lo sento. La pazienza è la virtù dei forti. Il tempo è con noi. Ne abbiamo a sufficienza per mangiare, fumare, tornare in stazione a piedi, fermarsi in libreria e prendere il nostro treno con calma. I sedili ci accolgono e ci conducono rispettosi al nostro proseguo.
I fogli da dieci vanno e vengono, non é per loro… quanto per il principio. Bhe, proviamo per la prima soluzione e al massimo optiamo per la seconda.
Culo! Strada chiusa per lavori, sosta libera! Wow… due passi a piedi e siamo in stazione. Il tempo non è dei migliori, ma è mattina presto, due gocce d’acqua non fanno certo un’intera giornata di pioggia! Caffè, stazione, giornale, cartello e binario. Prendiamo posto sui sedili assegnati e cominciamo a giocare con le nostre parole e con quelle di carta.
Io e Nathan non ci conosciamo da molto, dobbiamo ancora rodare le nostre mani e le nostre labbra. I nostri occhi hanno sete di pelle e dettagli, i nostri pensieri sono domande inespresse, dubbi da sciogliere e remore da dissipare. Il treno ci porta veloce nella città eterna tra un pisolino e una coccola.
Termini, stazione di Termini, calore di un Meridione, ancora più a sud di me. Aivojia Nord a vantare primati economici, il lustro che dà stare dentro le mura aureliane, nessuna griffe lo può equiparare!
La nostra meta è precisa, Mostra della Piccola e Media Editoria, Palazzo dei Congressi all’Eur. Da provinciali quali siamo, scendiamo verso la metropolitana, uno in coda alla macchinetta dei bijetti, l’altro alla ricerca di un giornalaio che li smerci più in fretta. Detto fatto. Siamo nel budello di quella rete d’aria che si sposta con le persone sottoterra. Odore preciso di Metro. C’imbarchiamo con un sacco d’altra gente e, una volta rimasti in pochi, la linea diventa di superficie e individuiamo due soggetti. Per il loro abbigliamento, per la faccia, i capelli e gli occhiali, per come parlano vorticosamente, in modo quasi patologico, captati dal discorso qualche parola, capiamo che hanno la nostra stessa destinazione: la fiera, i libri. Usciti, tra i nostri giochi video e qualche bacio appassionato, li seguiamo, prima discreti, lungo un viale che discredita i pedoni, poi dichiaratamente, quando i nostri destini si incrociano al semaforo. Ci facciamo spiegare la strada, in modo da non doverci baciare proprio sotto i loro occhi, e proseguiamo con i nostri ritmi, fatti di un camminare avvinghiati e con soste bacerecce.
Quando svoltiamo l’ultima strada del dedalo di vialoni, ecco che davanti a noi si apre il Palazzo dei Congressi:
- Ma io questo lo conosco? È il palazzo realizzato da Adalberto Libera nel ’42 per l’Esposizione Universale di Roma?
Che Francese sbadata che sono! Perché non ci ho pensato prima! Avrei potuto rileggere qualcosa, fare bella figura, raccontando al mio Nathan un po’ di info storiche e politiche di questo architetto razionalista. Bhe, oramai è tardi, non mi rimane altro che aprire gli occhi e ammirare quest’opera dalle linee moderne e dal gusto classico. Ricordo vagamente qualcosa sulle colonne… sulla loro forma… vediamo se si evince senza testo, solo dalla figura in carne e ossa… sembrano rastremate, come a voler fronteggiare la convergenza delle fughe all’infinito… e renderle rigidamente perfette… approfondirò poi.
Entriamo, fiera, libri. Connubio succulento per due onnivori di parole come noi! Perdo subito Nathan, capisco immediatamente che mi trascinerò dietro di lui, sarà lui che detterà i tempi. Che strano. Devo dire che mai avrei potuto pensare esistesse qualcuno con la tenacia di passare più tempo di me a spulciare libri in vendita. Adesso capisco tanti sbuffi d’amici e di ex fidanzati durante le mie protratte soste in libreria.
Ma è un piacere vederlo. Lo adoro quando fa così: prende un libro, guarda la coperta, legge il retro e le alette di presentazione dell’autore, apre a caso l’interno oppure se gli dice particolarmente bene, parte dalle prime pagine, e legge, legge, legge. Probabilmente è lì che cerca di cogliere quell’artigianato di produzione, quella metodologia di costruzione che ogni autore ha, che sviluppa autonomamente o attingendo da altri, dai Grandi, magari i suoi Grandi. Il mio Nathan è lì, che coglie tutto questo nel suo statico silenzio con libro in mano. Lo adoro. Mi intenerisce quando lo vedo così assorto, sembra così etereo e distante dal mondo, ma nello stesso momento è con noi, con i piedi in terra e prende le sue decisioni, acquista il libro e coscientemente, matericamente, chiede lo sconto fiera. È lui, è il mio Nathan. È un talento imbrigliato nel suo perfezionismo, nella sua precisa pignoleria, nelle sue idee di lavoro duro, di ricerca e miglioramento, nelle sue parole ricercate e precise.
Durante il viaggio ci ha accompagnato Pamuk. Sì, Omar Pamuk, il Nobel per la letteratura. Sì, l’ho tenuto in braccio con il suo discorso di Stoccolma. Diceva qualcosa che suona più o meno così:
“Uno scrittore è colui che passa anni alla paziente ricerca del secondo essere al suo interno, e del mondo che lo rende la persona che è: quando parlo di scrivere, la prima cosa che mi viene alla mente non è un romanzo, una poesia o una tradizione* letteraria, è una persona che si chiude in una stanza, si siede ad un tavolo e, da solo, si concentra su se stesso, tra le sue ombre costruisce un mondo nuovo con le parole.”Penso che anche Nathan ne sia convinto. Per questo gli suggerisco sempre di prendere in affitto una casina sull’Appennino dove andare a scrivere, dipingere e fare l’amore, con me! Ma, come ho già detto, Nathan è anche concreto e, per fortuna, non vive di sogni, come me.
Insomma, la nostra mattinata prosegue: ci perdiamo, io cerco lui, lui guarda i libri, io guardo i libri e guardo lui. Non compro niente. Di solito acquisto l’inverosimile in libreria, ma con lui ho soggezione. Quando sono con lui, mi sento un’intellettuale da rotocalco, da quattro soldi, una ferita pseudo-intellettuale. Forse lo sono o forse no, ma ho imparato da tempo a prendermi per quello che sono e non desiderare altro che quello che voglio essere, non quello che voglio apparire. Quindi, ripenso decisa alla montagna di libri abbandonati dopo l’acquisto per mancanza di tempo e al dolore che provo passandogli davanti, desisto dall’acquisto.
Alle 14.00 lo stomaco e la schiena cominciano a lamentarsi. Usciamo alla ricerca di viveri, sostiamo al sole che nel frattempo è uscito alto e fumiamo un cicchino, rilassati. Qualche domanda per scrutarci e scoprirci viene a galla. Lasciamo che approdino e trovino ormeggio, ho voglia di farmi conoscere. C’incamminiamo verso il centro, convinti che nella urbe caput mundi, il calore meridionale e la frequenza dei turisti ci permetta di mangiare anche a pomeriggio inoltrato. Scendiamo in Piazza Barberini e ci facciamo la salita a piedi fino a Trinità dei Monti. Lì, imperterriti e insensibili al nostro stomaco, ci perdiamo a guardare le nuvole, la folla e la casa con giardino del film L’Assedio di Bertolucci. Scendiamo. Il proposito sarebbe di scansare la folla e cercare, in pieno centro a Roma, di sabato pomeriggio, una trattoria carina e poco glamour per pranzare alle ormai 15 del pomeriggio. Giriamo tenendoci stretti e baciandoci ad ogni vicolo. Innamorati di primo pelo, è così. Arriviamo sotto l’Ara Pacis che aperta e ristrutturata nemmeno si riconosce. Chi avrà fatto il progetto? Bisognerebbe mi ricordassi di verificarlo… procediamo… entriamo in un paio di locali ma alle 16.00 hanno già tutti la cucina chiusa. Sconsolati ci riportiamo verso la calca. Una traversa tra via del corso e via del babbuino. Ci ispira un piccolo baretto con due tavolini fuori su di una pedana dove già seggono innamorati due stranieri. È il posto per noi, entro e chiedo se ci può far mangiare con piatti anche freddi. Sembra stupito dalla domanda, certo, il bar è lì per far mangiare gli avventori! Ci accomodiamo fuori e giochiamo, tra cicche, telecamera e parole. Parole poche a dire il vero, o almeno vacue, spoglie di tutte quelle domande, quelle richieste che il nostro stadio d’innamorati ancora estranei richiederebbe, ma verranno, me lo sento. La pazienza è la virtù dei forti. Il tempo è con noi. Ne abbiamo a sufficienza per mangiare, fumare, tornare in stazione a piedi, fermarsi in libreria e prendere il nostro treno con calma. I sedili ci accolgono e ci conducono rispettosi al nostro proseguo.
10 commenti:
per la cronaca. i biglietti della metro li ho rimediati io, mentre tu eri ancora in coda dietro ai timidi alla macchinetta. chi vince il premio del Provinciale dell'anno?
...ehm, vuoi la guerra, dimmi caro, chi ti ha suggerito di andare a trovare un giornalaio?
ps. vedo che sei riuscito a linkare il tuo nome al nostro blog :-)
mi piace il vostro "fare blog" insieme..
grazie cara, è un piacere vederti ronzare da queste parti!
guarda che torno eh...??!!
sarà sempre un piacere accoglierti! anzi, non vedo l'ora! :-) zzzzz....
aaaaahhhhm...ma allora la tua frase: "e noi che pensavamo di aver fatto qualcosa di orignale ' era legato all'idea del blog 'insieme'!!!! ;) o sbaglio? eh eh eh eh .... beh dai...e' carino vederne di simili, cosi' vengono altre idee no?:)
ciaoooo
flo
cara Flo,
la Francese è sempre a caccia di idee. Si direbbe che viva di questo. Il pane che mette sul tavolo ogni giorno esce dal forno della sua irrefrenabile creatività, la mia Francese...
nathan...vivere di idee e' molto bello...sopratutto quando poi, si ha modo di vederle realizzate!!! :)
e sopratutto....avere creativita' e' una grande fortunA...perche' permette di fare cose che molto spesso il solo cervello umano non e' capace di 'creare'appunto...
ciao a tuttii e due e..piacere di conoscervi!
Nath, tesoro, ti voglio bene!
...ma tu questo gia lo sai, no?
Flo, grazie della visita e dell'incoraggiamento, a presto!
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