All’inizio, dalla Francese, ci andavo in macchina. Bruciavo 450 km di autostrada, bevevo 35 litri di benzina, consumavo il bancomat nelle feritoie dei caselli a colpi di 33 frustate alla volta. E tutto questo solo per l’andata, s’intende. Bucavo la nebbia del vercellese, rodevo il fegato nelle code genovesi, zigzagavo nei cantieri della Firenze-mare e mostravo dita sollevate ai fanatici del sorpasso dal lampeggio facile.
Il treno era solo un’ipotesi irrealizzabile. Da questo spigolo d’Italia incuneato tra Francia e Svizzera ci vogliono due cambi e SETTE ORE di insopportabili rimbalzi di giunti di binario. Tutùm tutùn, tutùm tutùm. Per sette ore, contro le quattro e mezzo di guida interrotta solo da una breve pisciatina nel levante ligure.
Ci poteva stare, insomma.
Se non fosse stato per le code che si allungavano con l’avanzare della bella stagione, per le finanze in rapido tracollo, per il desiderio di occupare quelle vuote 9-10 ore settimanali in modo più interessante, per la solitudine a volte dolorosa dell’automobile, per un (sempre proclamato, ma mai abbastanza dispiegato) spirito ambientalista, se non fosse stato per tutte queste condizioni, insomma, mai mi sarei deciso a studiare un tragitto misto auto+treno che fosse sostanzialmente più economico (ma comunque carissimo), più ecologico, meno solitario e che si prestasse alla libera conversazione, alla lettura, alla contemplazione del paesaggio italico, delle sue meraviglie e degli orrori.
La mia tabella è collaudata.
La corsa inizia alle 4 del pomeriggio del venerdì. Scappo letteralmente dal lavoro, lasciando dietro di me una scia di sorrisi, di auguri e raccomandazioni. In un quarto d’ora sono al casello e in altri quarantacinque minuti a Santhià. In un’ora ho tagliato quasi tre ore di treno, cambio compreso. Santhià è già il mondo di fuori, già pianura umida, orizzonti a perdita d’occhio, zanzare spiaccicate sul parabrezza. E’ un pugno di case, un cinema aperto solo il weekend, qualche ufficio, molte vetrine e una stazione, quel che più conta. E nessun problema di parcheggio, nessun (pare) rischio di vandalismo su un auto con targa di un’altra regione lasciata per giorni in un parcheggio sterrato o lungo una strada.
Ore 17,33. Da qui Milano Centrale è a un’ora e un quarto d’interregionale. Tutùm tutùn, Vercelli, Novara, Magenta, Rho. Tutùm tutùn, Milano Centrale arriva in un fruscio di pagine. Fuori risaie inondate, dentro il complotto antisemita contro l’America immaginato da un Philip Roth in splendida forma. Fuori cascine che punteggiano la campagna sterminata, dentro questa ragazza che decide di sorridermi alla terza volta che qualcuno apre lo sportello tra la mia carrozza e la sua. (ops!)
E il treno s’infila in quella buccia d’anguria rovesciata che è la stazione di Milano Centrale, di solito con pochi minuti di ritardo, l’interregionale che in un’ora e cinquanta collega le due principali città del nord. Sempre, per ora, sotto i quindici minuti di cuscinetto per la coincidenza.
Ore 19. L’Eurostar lascia la stazione, lo riempie quella fauna così diversa da tutti gli altri treni che solcano la penisola. Modelle e attori, politicanti e intellighenzia bipartisan su questo treno craxiano. Lui, il Grande Modernizzatore, ci avrebbe ambientato uno di quei suoi sfarzosi congressi anni 80, se ne avesse avuto il tempo, con questo corredo di nani, acrobati e ballerine, su questo treno che ti fa credere di vivere in un paese moderno. Perché sull’Eurostar il capotreno ti dà il benvenuto come il comandante sul charter. Sull’Eurostar ti sembra di essere sempre in vacanza, mentre tutti gli altri intorno a te parlano di lavoro. C’è l’amministratore che al telefono organizza agguati ai condomini ostili, i neolaureati che comprano e vendono bond futures e stock options intorno al pallottoliere delle loro vite entusiasmanti. Ci sono i medici del Careggi sull’Eurostar, quelli che scendono sempre a Bologna, appena prima che il capotreno ne richieda l’intervento per il malore di un viaggiatore, e che al telefono consigliano le dimissioni, “perché è meglio morire tra le mura di casa, che in ospedale”. Ci sono le studentesse bolognesi che vanno a Roma e le romane che studiano a Bologna, con le loro trecce, i pantaloni consumati e la finta timidezza. C’era Massimo Lopez, sul Milano-Roma, venerdì scorso, sudato quanto tutti noi, perché l’aria condizionata si era guastata, su questo treno così moderno e veloce con i finestrini sigillati per timore del risucchio dei corpi nello spazio siderale.
E c’era questo tizio di Milano, ufficio acquisti per una ditta importante, innamorato di una romana, anche lui pendolare dell’amore, separato dal suo bene da sole 4 ore e mezza di treno moderno confortevole e arroventato. Fortunato, lui, a non dover abbandonare le montagne per solcare la pianura, a non dover passare dal terzo mondo dei treni locali che odorano ancora di vecchie Ferrovie dello Stato a quest’Italia patinata al profumo di Trenitalia. Sull’Eurostar anche il controllore con la camicia inzuppata dai 40 gradi umidi di fiato e di sudore ha la faccia e i modi gentili mentre tasta a caso i bottoni della centralina tra la carrozza 12 e la 11 per cercare di far ripartire un impianto che non ne vorrà proprio mai sapere di voler inondare di aria fresca i nostri corpi sfatti.
“Tra pochi minuti arriveremo alla stazione di Firenze Santa Maria Novella, grazie per aver sudato con Trenitalia”. Sull’Eurostar il trattamento benessere è compreso nel viaggio. Com’è rassicurante vivere in un paese moderno.
Alle 21.45 (più ritardo immancabile di questo treno moderno) ci sarà la Francese, al binario. Abbraccerò il suo corpo asciutto con queste membra scivolose e la maglietta appiccicata alla pelle. Attraverseremo Firenze sul suo scooter e potrò asciugare i miei pantaloni al vento. Quante emozioni in questo biglietto di soli 33 euro, più i 4,50 del Santhià-Milano e gli 8 del pedaggio autostradale.
Vivrò con lei questo nostro languido finesettimana, liberato dalle tossine, i pori della pelle aperti e puliti, fisicamente pronto, al ritorno, allo scatto di un Ben Johnson (prima del doping) appena si apriranno le porte a treno fermo alla stazione di Milano. Impegnerò tutta la potenza dei miei muscoli nella lunga corsa nel sottopassaggio, gli scalini a tre a tre, il salto sull’interregionale per Torino al binario quattro, il fischio della sirena e lo sportello che mi si chiuderà alle spalle in quel momento e l’insulto liberatorio che indirizzerò ai dirigenti superpagati di quest’azienda.
Grazie a Te, Trenitalia, per contribuire, ogni settimana, al mio benessere fisico e atletico.
Il treno era solo un’ipotesi irrealizzabile. Da questo spigolo d’Italia incuneato tra Francia e Svizzera ci vogliono due cambi e SETTE ORE di insopportabili rimbalzi di giunti di binario. Tutùm tutùn, tutùm tutùm. Per sette ore, contro le quattro e mezzo di guida interrotta solo da una breve pisciatina nel levante ligure.
Ci poteva stare, insomma.
Se non fosse stato per le code che si allungavano con l’avanzare della bella stagione, per le finanze in rapido tracollo, per il desiderio di occupare quelle vuote 9-10 ore settimanali in modo più interessante, per la solitudine a volte dolorosa dell’automobile, per un (sempre proclamato, ma mai abbastanza dispiegato) spirito ambientalista, se non fosse stato per tutte queste condizioni, insomma, mai mi sarei deciso a studiare un tragitto misto auto+treno che fosse sostanzialmente più economico (ma comunque carissimo), più ecologico, meno solitario e che si prestasse alla libera conversazione, alla lettura, alla contemplazione del paesaggio italico, delle sue meraviglie e degli orrori.
La mia tabella è collaudata.
La corsa inizia alle 4 del pomeriggio del venerdì. Scappo letteralmente dal lavoro, lasciando dietro di me una scia di sorrisi, di auguri e raccomandazioni. In un quarto d’ora sono al casello e in altri quarantacinque minuti a Santhià. In un’ora ho tagliato quasi tre ore di treno, cambio compreso. Santhià è già il mondo di fuori, già pianura umida, orizzonti a perdita d’occhio, zanzare spiaccicate sul parabrezza. E’ un pugno di case, un cinema aperto solo il weekend, qualche ufficio, molte vetrine e una stazione, quel che più conta. E nessun problema di parcheggio, nessun (pare) rischio di vandalismo su un auto con targa di un’altra regione lasciata per giorni in un parcheggio sterrato o lungo una strada.
Ore 17,33. Da qui Milano Centrale è a un’ora e un quarto d’interregionale. Tutùm tutùn, Vercelli, Novara, Magenta, Rho. Tutùm tutùn, Milano Centrale arriva in un fruscio di pagine. Fuori risaie inondate, dentro il complotto antisemita contro l’America immaginato da un Philip Roth in splendida forma. Fuori cascine che punteggiano la campagna sterminata, dentro questa ragazza che decide di sorridermi alla terza volta che qualcuno apre lo sportello tra la mia carrozza e la sua. (ops!)
E il treno s’infila in quella buccia d’anguria rovesciata che è la stazione di Milano Centrale, di solito con pochi minuti di ritardo, l’interregionale che in un’ora e cinquanta collega le due principali città del nord. Sempre, per ora, sotto i quindici minuti di cuscinetto per la coincidenza.
Ore 19. L’Eurostar lascia la stazione, lo riempie quella fauna così diversa da tutti gli altri treni che solcano la penisola. Modelle e attori, politicanti e intellighenzia bipartisan su questo treno craxiano. Lui, il Grande Modernizzatore, ci avrebbe ambientato uno di quei suoi sfarzosi congressi anni 80, se ne avesse avuto il tempo, con questo corredo di nani, acrobati e ballerine, su questo treno che ti fa credere di vivere in un paese moderno. Perché sull’Eurostar il capotreno ti dà il benvenuto come il comandante sul charter. Sull’Eurostar ti sembra di essere sempre in vacanza, mentre tutti gli altri intorno a te parlano di lavoro. C’è l’amministratore che al telefono organizza agguati ai condomini ostili, i neolaureati che comprano e vendono bond futures e stock options intorno al pallottoliere delle loro vite entusiasmanti. Ci sono i medici del Careggi sull’Eurostar, quelli che scendono sempre a Bologna, appena prima che il capotreno ne richieda l’intervento per il malore di un viaggiatore, e che al telefono consigliano le dimissioni, “perché è meglio morire tra le mura di casa, che in ospedale”. Ci sono le studentesse bolognesi che vanno a Roma e le romane che studiano a Bologna, con le loro trecce, i pantaloni consumati e la finta timidezza. C’era Massimo Lopez, sul Milano-Roma, venerdì scorso, sudato quanto tutti noi, perché l’aria condizionata si era guastata, su questo treno così moderno e veloce con i finestrini sigillati per timore del risucchio dei corpi nello spazio siderale.
E c’era questo tizio di Milano, ufficio acquisti per una ditta importante, innamorato di una romana, anche lui pendolare dell’amore, separato dal suo bene da sole 4 ore e mezza di treno moderno confortevole e arroventato. Fortunato, lui, a non dover abbandonare le montagne per solcare la pianura, a non dover passare dal terzo mondo dei treni locali che odorano ancora di vecchie Ferrovie dello Stato a quest’Italia patinata al profumo di Trenitalia. Sull’Eurostar anche il controllore con la camicia inzuppata dai 40 gradi umidi di fiato e di sudore ha la faccia e i modi gentili mentre tasta a caso i bottoni della centralina tra la carrozza 12 e la 11 per cercare di far ripartire un impianto che non ne vorrà proprio mai sapere di voler inondare di aria fresca i nostri corpi sfatti.
“Tra pochi minuti arriveremo alla stazione di Firenze Santa Maria Novella, grazie per aver sudato con Trenitalia”. Sull’Eurostar il trattamento benessere è compreso nel viaggio. Com’è rassicurante vivere in un paese moderno.
Alle 21.45 (più ritardo immancabile di questo treno moderno) ci sarà la Francese, al binario. Abbraccerò il suo corpo asciutto con queste membra scivolose e la maglietta appiccicata alla pelle. Attraverseremo Firenze sul suo scooter e potrò asciugare i miei pantaloni al vento. Quante emozioni in questo biglietto di soli 33 euro, più i 4,50 del Santhià-Milano e gli 8 del pedaggio autostradale.
Vivrò con lei questo nostro languido finesettimana, liberato dalle tossine, i pori della pelle aperti e puliti, fisicamente pronto, al ritorno, allo scatto di un Ben Johnson (prima del doping) appena si apriranno le porte a treno fermo alla stazione di Milano. Impegnerò tutta la potenza dei miei muscoli nella lunga corsa nel sottopassaggio, gli scalini a tre a tre, il salto sull’interregionale per Torino al binario quattro, il fischio della sirena e lo sportello che mi si chiuderà alle spalle in quel momento e l’insulto liberatorio che indirizzerò ai dirigenti superpagati di quest’azienda.
Grazie a Te, Trenitalia, per contribuire, ogni settimana, al mio benessere fisico e atletico.
12 commenti:
amore sei troppo forte! quando ti ci metti sei bravissimo, mi sono scompisciatta dal ridere con tutti quei rumori che fai sentire nel post! e poi alla fine a pensare ai tuoi muscoli e a quelli dell'atleta dopato! oh che sia chiaro in ritardo era il treno non io! ...solo una volta sono arrivata dopo il treno :-)
scompi..che? :-p
ahhhh ma sarà pignolo?!
guarda qui:
http://www.garzantilinguistica.it/interna_ita.html
scompisciare [scom-pi-scià-re]
Etimologia: Comp. di s- e compisciare, intens. di pisciare v. tr. [io scompìscio ecc.] (pop.) imbrattare d'orina; pisciare su qualcosa ||| scompisciarsi v. rifl. pisciarsi addosso ' scompisciarsi dalle risa, (fig.) ridere a crepapelle, in modo irrefrenabile.
GNEGNEGNE
... e come lo coniughi?
Ciao! Vi leggo sempre con molto interesse anche xchè la mia storia è simile alla vostra (io e il mio moroso siamo separati da 125 km). Che fatica far arrivare il we!!!
Continuate così... AUGURONI
Silvia
Bhè...eccomi qui, dopo qualche giorno di sano stress, che mi reinfilo, a mio rischio e pericolo, nei divertenti dialoghi di questa coppia. Caro Nathan (se posso permettermi il caro), mi ha molto divertito il tuo racconto sull'eurostar, avrei voluto vedere te con una che riesce a stare al cellulare da Bari a Bologna, gallerie comprese, raccontando un insulso aneddoto a tutta la sua rubrica telefonica...
ciaoooooo
ciao Silvia, benvenuta!
Ciao Baol, bentornato!
grazie per la vostra partecipazione è sempre un piacere poter condividere la petulanza di Nath! :-)
pipipi petulante e pignolo!
per la coniugazione puoi andare qui:
http://www.garzantilinguistica.it/verbi_ita.html
ti riporto l'indicativo presente, in ordine:
Presente, passato prossimo, imperfetto e trapassato prossimo
IO
scompiscio - ho scompisciato - scompisciavo - avevo scompisciato
TU
scompisci-hai scompisciato - scompisciavi - avevi scompisciato
EGLI
scompiscia - ha scompisciato - scompisciava -aveva scompisciato
NOI
scompisciamo-abbiamo scompisciato-scompisciavamo-avevamo scompisciato
VOI
scompisciate - avete scompisciato - scompisciavate - avevate scompisciato
ESSI
scompisciano - hanno scompisciato - scompisciavano - avevano scompisciato
cara Silvia,
siamo davvero in tanti, noi viaggiatori dell'amore, ne incontro in continuazione.
caro Baol,
incappo spesso in molestatori telefonici sull'ES. ovvio: una nazione che non legge in treno che fa?
mia Francese,
eheheh, tatapùm! qui ti volevo, sali a vedere come l'hai coniugato tu.... :-))))
uff! è un errore/orrore di battitura... ma come sei pignolo... uff ma come sei preciso...
quasi quasi ti lascio sulla banchina del tuo ES stasera :-)
E invece quando arrivi dalla Francese sei pronto allo scatto Baby Johnson...era terribile, ok! Ma sono un po' solidale, anch'io vivo incuneata (fra la Svizzera e il Piemonte) :)
OT: c'è una cosa che dovete assolutamente fare voi due. Bè, assolutamente per dire. Mi sembra carina però: http://www.anobii.com/anobi/anobii_home.php.
Appena riesco mi ci metto pure io!
Grazie Emauff!!
è una figata!
mi ci sono già iscritta!!
adoro queste cose, la mia schizzofrenia mi impedisce di poter aspettare! :-)
piano piano riuscirò a estorcere tutti i libri di nath, sono maniaca nel possesso di carta brossurata :-)
scusate io mi sono persa un attimo di dove siete??ma non riuscite a trovare i voli low coast??magari mia idea stupida...!!!!
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