giovedì 29 maggio 2008

Scalo a Bombay, prima del Giappone



Ultimo salto in India prima della stagione estiva interamente dedicata al Giappone.

Inutile nascondere la mia malattia. Sono malata d'India, e penso di esserlo in modo irrecuperabile.

Per necessità di latitudine, sono assuefatta dalla narrativa indiana. Nonostante il mio snobbismo.
Già perché, a mia modestissima e non accademica opinione, la narrativa indiana, a volte, è un po' bollywodiana, un po' eccessiva. Bene, a me piace. Piace tutta, ridondante o no.
Ci deve sentire il gusto dell'India, con i suoi odori, profumi, storie e personaggi.

Dopo letture casuali, pescate a caso tra gli scaffali, preferendo autori indiani, avevo tratteggiato un paio di linee guida per sceglierli: 1) scartare le edizioni Neri Pozza, anche se così tanto fertili di autori indiani, proprio perchè il prolificare portava anche autori non pregievolissimi... 2) evitare gli inglesi, o i nomi che lo potevano sembrare tali, per preferire i Sing, Nair, Metha, Lahiri ecc. tipicamente indiani (anche se magari nati negli Usa!!).

Bene, come si dice, ogni regola ha la sue eccezione.
Eccola: Shantaram.
Libro di peso, 8 cm di costola, Neri Pozza di un tal Roberts.
Lo scartai, prediligendo la Nair all'alba della mia malattia, l'ho desiderato di recente dopo entusiastici commenti sul gruppo di aNobii.

**Attenzione: di seguito anticipazioni sulla trama (SPOILER) **
Brevemente, se così si può dire di 1170 pagine, Shantaram è storia della malattia per l'India del suo autore (sembra che il libro sia autobiografico). Evaso dalle prigioni del suo Paese, l'Australia, ingabbiato per rapina a mano armata, con un passato da eroinomane, il protagonista approda a Bombay, nei primi anni '80.
Qui incomincia una nuova vita, prima da turista stanziale, iniziato al subcontinete dal primo grande sorriso indiano che incontra, la sua guida: Prabaker. Con lui conoscerà la città oltre le zone aperte agli stranieri, tenterà di accettare le sue mille incongruenze e crudeltà - vedi il passo del mercato dei bambini - ma anche la dolcezza e la semplicità delle zone rurali, dove le condizioni climatiche fanno ancora la vita e la morte.
Si fa molti amici, e la forza del libro sta nell'individuare personaggi tra loro molti diversi e significativi.



Gli amici del Leopold, locale che il libro contribuisce a rendere mitico, dove partecipa ad una compagnia di sconclusionati provenienti da tutto il mondo, che hanno ormai la loro unica ragione di essere, solo lì, a Bombay. Ma anche la famiglia di Prabaker, quella del villaggio, ma anche quella dello slum, dove l'autore mette in forte luce - e forse un parte enfatizza utopisticamente - l'umanità della miseria, la solidarietà della precarietà, l'amore e il rispetto di chi non possiede altro che quello.
Dopo il bene, il male. La mafia, la criminalità, la delinquenza. Il nostro protagonista, ribattezzato Lin dall'ormai amico Prabaker, viene avvicinato da uno dei Signori della mafia che domina la città, Khaderbhai. Gradualmente viene accolto da questa figura misteriosa e affascinante, in modo quasi filiale.
Non manca l'amore e soprattutto la tensione amorosa. Quasi da subito Lin si innamora di Karla, misteriosa dama vestita di verde e di parole intriganti.



L'ambulatorio allo slum, il colera, l'elaborazione dei crimini passati, l'accettazione della miseria, i monsoni, la polizia corrotta, ci sarebbe su che dilungare il romanzo, ma ecco che c'è anche il colpo di scena. Dopo aver aiutato la fuga di un'americana bionda da un bordello di lusso, Lin viene arrestato e rimesso in prigione. E qui, le pagine che prima scorrevano veloce, prendono un nuovo ritmo, quello dell'attesa, della sofferenza fisica, del sopruso.
Sembra durare tutto troppo a lungo, sembra impossibile che possa finire così! ...ed infatti, ecco che l'amico cow-boy effettua il pagamento della tangente per la scarcerazione, e la storia ricomincia. Niente più povertà, o per lo meno, d'ora in poi Lin vive nel lusso, ma senza allontanarsi da quella dimensione che tanto gli ha dato. Vive da gangster, ha molti maestri-malviventi, quello dei passaporti, del contrabbando di denaro ecc. niente prostituzione, niente pornografia, perché il suo boss ha un etica e un motto: verità e coraggio. Ed è quest'etica da Robin Hood che lo condurrà velocemente per il mondo, a scambiare valuta e passaporti, lo allontanerà dall'amore, quello di Karla, tanto da farlo arrivare in Afganistan a combattere la guerra dei mujaheddin contro i Russi.
E anche qui il ritmo delle pagine rallenta, la sofferenza vera, pesante, il territorio arido - non pensate che se la cavi in tre paragrafi, passano pagine capitoli - attraversa passi montani a cavallo nella notte, sopravvive in una grotta, arrivano poi anche i russi, come in tutte le guerre che si rispettino stanno dalla parte dei cattivi.
Dopo, torna a Bombay, ma non smette i panni di Rambo, perché torna solo, orfano del suo padre putativo, il boss della teoria cosmica e dell'etica. Si scatena la guerra tra bande, a Bombay e vengono a galla molte verità. Compresa quella che nasconde la sua amata Karla. Arriva anche il lieto fine, ma con premessa, di ancora tante avventure - una sorta di possibile proseguo volendo - fatto di avventure in Sri Lanka a fianco delle ribelli Tigri Tamil.
Questo velocissimamente, per quanto potuto, il sunto.


Immagine di Shantaram
Il mio giudizio è contrastante.
Di sicuro non è altissima letteratura: scritto bene, scorrevole certo, avvincente pure, ma ruffiano, terribilmente ruffiano e sdolcinato, a tratti da baci perugina. Cinematografico senz'altro. Anzi, io lo vedo stra-bene, e l'ho già scritto qui - come trama per un serial tv. Mi terrebbe attaccato alla poltrona. Un Sandokan aggiornato.
Tanti dettagli sarebbero stati da approfondire, da indagare, con un occhio indigeno, e non da turista. Entra dentro, ma coglie in superficie, stereotipizza. Tento di spiegarmi, quando parla di persone che lavorano per strada, vivono di espedienti e cercano di mangiare almeno una volta al giorno lavorando per strada, ne parla sempre dal punto di vista di chi sa, ma non lo vive.
Non entra mai nei riti, osserva chi prega, ma ha un aspetto mistico.
Il suo punto di vista è unicamente quello del gora, del bianco, anche se con cuore nero, ma di pelle bianca.
Capisco però che questo può essere un difetto per me che sono malata di India, appunto, che cerco di saperne il più possibile...
Indiscutibile è il fatto che il libro, seppur scomodo da leggere per le sue dimensioni, è affinghiante! Ti tiene incollato alle pagine, notti insonni, mattinate riconcoglionite. Ho letto le ultime 600 pagine in treno, devo ammettere che quando ho alzato gli occhi dalle righe per scendere alla stazione, mi sono chiesta dove fossero le baracche dei lebbrosi, o perché nemmeno un bambino fosse attaccato alle mie gonne, mi sono meravigliata di non avere i piedi nudi e di non sentire il caldo umido di Bombay e quell'odore dolciastro, che è l'India.

4 commenti:

Stefano Santarsiere ha detto...

Moolto interessante. Una drammone roboante, forse popolare e ammiccante, ma dal fascino della letteratura che coivolge, che diverte.
O no?

Anonimo ha detto...

Esatto!
roba d'altri tempi se vuoi :)

diciamo consigliato per lunghi viaggi in treno tipo firenze-berlino, traghettate dell'atlantico, diligenze nel deserto...
:)
ciao Stè!

Anonimo ha detto...

non passavo da un po' e per un attimo ho davvero pensato che fossi partita per l'India...

anche a me ha stuzzicato, sarà che quando hanno fatto la rassegna al Lumiere su Bollivud (scritto così mi sembra più indiano!) me la sono puppata tutta...

;-)

saluti
Panz

Anonimo ha detto...

@ panz
ma quella della Francese è ormai una febbre incurabile.
per lenirne gli effetti mi tocca andare in oriente con lei, ma molto più a est dell'India ;-) in un paese decisamente più pulito e soprattutto gastronomicamente compatibile con il mio palato

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