mercoledì 21 febbraio 2007

Torino. La prima volta della Francese. Seconda puntata.


Piazza Carlo Felice e i suoi giardini sono quasi interamente coperti da una cintura di barricate che ne nascondono i lavori in corso. Passiamo da sinistra, foto di rito alla facciata ottocentesca della stazione, prima d’infilare i portici che ci spingono nella bocca di via Roma. Strada da parata che conduce al salone chic di Torino (piazza San Carlo, per gli intimi piazza Cavallo), via Roma è lucida e chiara come sempre e gli occhi della Francese ne riflettono la luce.
Lei vorrebbe già imbucarsi alla fnac, a confrontare i prezzi dell’elettronica, a far scivolare i polpastrelli sulle copertine dei libri. “Ma con i bagagli…. (che porto io) avviciniamoci a un ristorante, prima, li posiamo al bed and breakfast, e poi ci torniamo, alla fnac”. La convinco.
In piazza Cavallo il cavallo è inscatolato, anche lui temporaneamente sequestrato dall’iperattivo reparto trucco di questa città. Ma la piazza, con la sua forma e le facciate dei palazzi è una delle due mete immancabili fissate dalla Francese. Lei mi racconta di come i terreni per la costruzione dei palazzi siano stati donati ai nobili che ne fecero le loro residenze a patto che ne rispettassero i rigidi canoni imposti dall’architetto di corte. E poi ci perdiamo in fotografie e baci e risate, attraversando la piazza (finalmente pedonalizzata, si spera per sempre) fino al bar Torino e al suo toro appiattito sul selciato, dove davvero i torinesi (non è solo una leggenda) passando calcolano precisi i propri passi per arrivare in modo falsamente causale a pestarne la parti intime, perché si dice che porti fortuna.
Percorriamo la Galleria San Federico e proseguiamo fino a piazza Castello, anch’essa pedonalizzata, anche se solo per metà, sul lato su cui si affaccia Palazzo Madama (prima sede del Senato del Regno), da qualche mese felicemente restaurato e aperto al pubblico.
Ma la fuga è rapida, anche davanti a questa gloria di piazza Mittle Europa che mai mi sarei sognato di ipotizzare nei grigi anni Novanta torinesi. La meta è il Quadrilatero Romano, la zona trendy dei locali, l’esempio più brillante di quartiere recuperato alla vita sociale, dove abbiamo prenotato le nostre due prossime notti d’amore.
Così svoltiamo in via Garibaldi. L’appuntamento è in via Delle Orfane, ma prima c’infiliamo in via Bellezia, la porta dei vicoli storici del Quadrilatero. Cerchiamo La vache qui rit, ristorante invitante, adocchiato in un mio recente passaggio a Torino, per poter iniziare come si deve il nostro soggiorno.
Chiusa, all'incrocio con via San Domenico, la vache est fermée, mon dieu! Nel Quadrilatero c’è l’imbarazzo della scelta. E noi sbagliamo. Pranziamo in un locale apprezzabile per l’arredamento ma deprecabile per la qualità del piatto di pasta che ci facciamo servire. Beeech! E alla Francese non resta che consolarsi piazzandomi la sua fotocamera sulla faccia. Scappiamo, che cucina orribile.
Secondo traversa, dopo una lunga sosta in una cartoleria-maglieria-rubinetteria-mobilificio-giapponese-mai-visto con buttafuori in giacca e cravatta e un milione di oggetti in grado di smagnetizzare la carta di credito della Francese, ecco via delle Orfane. Cerchiamo il 19. Troviamo il portone con la targhetta. Suoniamo. Nessuna risposta. Suoniamo ancora. Nulla. La porta è aperta. Saliamo a vedere se qualcuno, dopo le lunghe telefonate con la padrona di casa degli ultimi giorni, ci aspetta. Al quarto piano, tra calcinacci e scuotimenti di martelli pneumatici, suoniamo a varie porte invano, finché su un ballatoio attraversato da fili e carrucole incontro un operaio a cui chiedo informazioni. Sì, Lucia è qui. Suona alla porta che ci mancava. Ecco Lucia, l’incaricata dalla proprietaria a riceverci, a cui il mio nome (sorpresa, sorpresa) non dice nulla.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ammmoooore ci torniamo da "La vache qui rit" dai dai dai!!!

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