mercoledì 21 febbraio 2007

“Attorino ci voglio andare!” parte seconda

Adoro andare per mercati, i mercati centrali intendo, spesso sono serre strutture ottocentesche cariche di delizie. Condivido con il compianto Manolo che questi spazi pieni di merce fresca lasciano capire molto di chi abita la città. Il mercato del pesce e quello alimentare di Porta Palazzo non hanno il fascino romanzato della Boqueria barcelonese, ma gli si avvicinano molto. Non sono da meno per colori di merce, stranezza di prodotti e nazionalità di avventori e commercianti.
I mercati coperti sono completati da esuberanti banchi di frutta e verdura dall’altro lato della strada. Una città di strette vie cantonate da ordinate piramidi di rubiconde arancie o dorate melagrane, catalogne stravaganti o violacei broccoli di cavolo. È il gusto orientale dell’esporre la merce, lindo e geometrico. Immigrati con parlate cespicanti di dialetto, gridano i prezzi dei prodotti che fin dall’alba vendono sui banchi, prodotti per la cucina piemontese e per quel mix stravagante di culture che ci frulla attorno, in questa signorile città.Ho soggezione di questo luogo, mi affascina quanto un paese esotico, vorrei scattare quante più foto posso, ma ho delle remore. Preferisco girare silenziosa per le mani a Nathan in questo dedalo di viuzze, guardare stupefatta le mele cotogne o rape a forma di cipolla. Acceleriamo i nostri passi ed è quasi una giosta, tra i colori e la musica di Porta Palazzo.

L’altra cosa che spasimo di vedere a Turin è la Cappella della Sacra Sindone di Guarino Guarini. Questo signore era un ecclesiastico, non ricordo l’ordine, ma con ogni probabilità un gesuita, matematico e architetto, al quale oltre a numerosi incarichi di corte, fu affidato anche la realizzazione di una cappella dietro l’altare maggiore del duomo per collocarvi la sacra sindone, che a seguito di numerosissime peripezie che non sto nemmeno a cercare di riassumere, giunse a Torino. Allora, veniamo a noi, alla Cupola e al mio desiderio di vederla. Mi capita spesso, quando ho un forte desiderio di vedere qualcosa, Piazza San CArlo ne è esempio, di non poterlo fare. I perchè sono spesso i più sciocchi, orari, restauri o festività, tutte cose che un cauto turista potrebbe prevedere. Contenta di quello che ho visto della prima tappa, la finta place royale, il sabato mattina alla nostra ora non troppo mattiniera, io e Nath ci avviamo verso il duomo. Le 12.30.
- Dai, Amore, corri, che potrebbe chiudere alle 13.
- Ma sei sicura che sia di là?
Come gli voglio bene, ma a senso dell’orientamento zero. E meno male che c’ha vissuto.
- Si, Amore, non la vedi la cupola che spunta là?
Arriviamo in piazza del Duomo, la giornata non è delle migliori, luce grigia, di quella che mi fa venire un mal di testa tremendo. Ma fremo, solo l’amore per quest’uomo riesce a tenermi lì con lui e non correre dentro a cercare la luce. Saliamo le scale, accelero il passo e Nath mi sta dietro, grande amore mio! La porta doppia classica per attutire la temperatura esterna, spingo e leggo contemporaneamente il cartello, apertura continuata, evvai! Siamo dentro, lo spazio non è quello arnolfiano, è calcolabile, controllabile, avanzo, diritta alla mia meta, che, non so nemmeno dov’è, ma so che quando vi sarò dentro la riconoscero. Arrivo in fondo alla navata e non c’è nessun elemento di attrazione, nessun fulcro di attrazione che potrebbe meritare di essere la cupola guariniana. Dalla navata laterale passo a quella centrale, guardo la cupola, fiduciosa. Niente, nemmeno questa. Cappella significa piccolo vano laterale alle navate principali, non è la cupola, è la Cappella della Sindone. Ah, là vedo la Sindone, sul lato opposto. Passo davanti al pulpito, aggiro un banco per le preghiere, Nath è dietro di me, mi dirigo verso la teca. Contiene il sudario, un cofanone dorato messo sotto vetro, addossato al transetto poco sporgente… alzo gl’occhi al cielo e niente, non c’è, nemmeno qui. Quel sistema d’intagli, fatto di travi caleidoscopiche, il culmine del barocco italiano, la conclusione dell’opera botrominiana, non c’è, mi sfugge. Bene, ricordavo dell’incendio del ’97, ma mai mi poteva venire alla mente quanto mi ha riferito la sciura del servizio di assistenza ai turisti, che ho puntato in fondo alla navata una volta che mi sono trovata alle perse.
- Scusi signora, ma dov’è la Cappella della Sacra Sindone?
- Signorina, in fondo sulla destra.
- Sì, lì c’è la sindone, io volevo visitare la Cappella del Guarini, è possibile?
- Signorinaaaaa… ma è bruciata nel ’97!
- Sì, lo so lo ricordo, quando sarà possibile visitarla?
- Ah… non so proprio! è ancora in restauro, adesso non è certo possibile, ci stanno lavorando, ci sono ancora le impalcature, le travi sono tutte nere, dubito che si possa più vedere qualcosa.

Colpo al cuore. Ferita a morte. Mai avrei potuto pensare una cosa del genere, che il nostro super evoluto mondo potesse non recuperare un’opera d’arte, che l’ingegno dell’uomo non potesse superare la sua distrazione distruttrice. Sconsolata, raggiungo Nath, con i lucciconi agl’occhi, e il broncio esplicito. Gli racconto quando mi ha detto il mio boia e leggo con lui le note della verde guida che lui mi ha regalato:

“nella notte tra il 12/13 aprile del ’97 un rovinoso incendio divampò nella Cappella (…) il rogo divorò gran parte dell’opera progettata nel 1667 dall’architetto di corte Guarino Guarini e considerata uno dei capolavori del barocco europeo.(…)Da allora sono in corso le attività di restauro, per le quali non si prevede ancora la data di conclusione. Vale lo stesso la pena di raccontare come il geniale architetto modenese concepì questo monumento, inno al mistero dell’ascesi spirituale e, al contempo, delle potenzialità intellettuali dell’uomo. (…)La struttura e la composizione dei materiali della cappella si presentano in evidente contrasto – di luce, stile ed emozione – con l’antecedente spazio interno della cattedrale (…) così che il federe avrebbe iniziato a scorgeresul fondo del presbiterio una presenza altra.”
Dal fondo delle due navate laterali si impostano due portoni in marmo nero con scalinate curvilenee dai quali si accede prima in due vestiboli poi al vano centrale dietro la cupola sopra l’altare dove è lo spazio guariniano.
“In questo punto si scatena l’effetto di tensione tra l’oscurità dei piani inferiori e la luminosità che si propaga dalla struttura conico piramidale della cupola sostenuta dall’alto tamburo aperto in sei finestroni ad arco, e sovrastata dalla cuspide: la prospettiva si fa vertiginosa, nel tentativo di individuare il gioco sovrapposto dei tre esagoni che, sfalzati, creano un caleidoscopico effetto infinito a raggiungere la stella a dodici punte. Nel cuore della stella una colonba divina che prende luce dagli ovali della lanterna. Al centro del vano, sull’altare, era collocata la teca della Sindone…”

Uno spazio barocco, studiato secondo le classiche regole della composizione scenica, per calcare maggiormente in modo teatrale sul sentimento religioso di questo spazio sacro contenente una reliquia tanto preziosa. Bruciato sfortunatamente.

Ricordo che, appresa la notizia alla tv, infamai i pompieri, che sicuramente si saranno concentrati sul salvataggio della sindone e meno su quella che era una mia ambita meta di pellegrinaggio.

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