venerdì 26 gennaio 2007

Levanto. A Perfect Day. (seconda parte)

Non so cosa è accaduto, il perché all’improvviso ho aperto gli occhi e mi sono girata. Non so perché, ma… so che lui è qui, dietro di me, in piedi, tra il banco del bar e i primi tavolini e guarda me. Non somiglia molto alle foto che avevo visto, poche per la verità. Ma sono certa che é lui. È lui, per come i suoi occhi cercano me. È lui per come mi sono subito sentita di alzarmi, rumorosamente, e di andargli incontro. È accaduto e basta, senza che gli impulsi del movimento passassero dal cervello. Poi però, quando gli sono stata vicino, ho razionalizzato, “non ti puoi buttare al collo di uno che non hai mai visto, potrebbe essere un maniaco, come dice tuo fratello!”. E allora le mie mani si sono limitate a posarsi sulle sue spalle, in un cenno veloce e sintetico di pseudo abbraccio, due baci sulle guance, come due amici che s’incontrano quotidianamente e le mie parole:
- Ciao! Come stai? È andato bene il viaggio? Bevi qualcosa?
Un lungo fiume di suoni dalle nostre bocche ha riempito acusticamente tutti i momenti successivi, attimi intensi che hanno visto i nostri corpi deambulare per la città, mentre i nostri occhi erano intenti a scrutarci reciprocamente. Ogni tanto il pensiero e lo sguardo sono ai luoghi del nostro passaggio, vicoli deliziosi e colorati, pulsanti per l’improvvisa giornata di fine estate. Cerchiamo un posto dove mangiare, anche se quello che interessa ad entrambi, penso, non sia tanto mangiare, quanto che il luogo sia carino, pronto ad accogliere questo nostro strano e felice incontro. In questi passi prima di pranzo ritrovo subito quella confidenza conquistata per mail e poi per telefono. Me ne meraviglio, non sto reagendo a stoccaffisso, tengo la conversazione, scherzo e sono naturale. Sì, quest’uomo mi piace, indifferentemente dalla sua faccia. Quello che ho bisogno di capire adesso, è se la stessa attrazione che nutro per la sua intelligenza, per la sua logica, per il suo umorismo, la nutro anche per la sua pelle, per le sue labbra, per i suoi occhi. Se qualcosa può andare oltre, o… fermarsi quì, a questo punto ormai avanzato.
La trattoria dove ci fermiamo si trova nella piazza centrale della città. È circondata su due lati da portici alti e istituzionali, probabilmente il Municipio. La tinta vivace dell’intonaco colora l’aria. I tavolini all’aperto sotto la veranda ci accolgono nei loro paramenti marittimi. Prendiamo posto. La nostra conversazione ha un ritmo sostenuto, ci prendiamo un pausa solo per i bisogni fisiologici e per ordinare. Nella scelta del menù, caso o karma, ci troviamo indirizzati entrambi sui soliti piatti, polpo con patate e olive e linguine al pesto! Forse, anche lui come me, presta attenzione ai piatti locali, ai prodotti tipici… chissà, troppe cose da sapere ancora l’uno dell’altra, e questo è il momento.
Un pensiero mi balena e lo esterno senza pensare, dalla singletudine si impara a parlare da soli:
- Uhm… speriamo che nel pesto ci siano i fagioli!
Alzo gli occhi dal tovagliolo ripiegato sulle ginocchia e lo vedo che mi guarda con due occhi interrogativi. Aggiungo:
- …Cioè …Sai, in Liguria il pesto lo fanno con fagiolini e patate non solo come lo compriamo noi…
- Sì. Lo so, anche a me piace con i fagiolini, vivrei di pasta al pesto.
Tra una sforchettata e l’altra, tra un bicchiere di bianco e l’altro, e per fortuna ne abbiamo ordinato solo mezzo litro, ci raccontiamo, viso a viso per la prima volta. Parte un lungo fuoco incrociato: il suo percorso di studi, l’università, la conclusione di un percorso iniziato anche se poco tagliato a sua misura, la vita da studente; il mio percorso di studi, la tenacia ad oltranza dei miei genitori che ancora pagano le tasse per un esame l’anno quando va bene, il lavoro di 10 anni fa, la mia vita non da studente. Poi ancora, la politica, le nostre realtà locali, i partiti politici e il loro modo di inserirsi nei rapporti interpersonali. Ancora gli amici, i nostri rapporti con loro, i genitori e poi il lavoro, le dinamiche anche spicciole della gestione delle nostre giornate.
Quando del caffè in bocca mi è rimasto solo un vago aroma e predomina solo quello del fumo, la signora della trattoria comincia ad alzare le sedie sui tavoli all’interno del locale, capiamo che è il caso di andare.
Riprendiamo la nostra marcia vagabondante sotto il sole di Levanto. Raggiungiamo il mare e ci concediamo una telefonata all’amica complice prima di intraprendere la passeggiata al Monte Mesco.
- Ciao! Si, tutto bene, sì, sì. Abbiamo appena pranzato e…
Due parole, sempre le stesse, cerco di rispondere in modo a lui incomprensibile alle domande insistenti e curiose dell’amica dall’altra parte del filo.
- …te lo passo, puoi dirglielo tu.
- Ciaoooooo! Ehehe Sì, sì… ma è una minaccia?
Ops! Mio dio! Cosa ho fatto ora?! Scherzeranno, dai scherzeranno. Questa storia dell’incontro al buio ha allertato tutta la mia famigliola di amici malati di singletudine.
- Scusa, ma che ti ha detto? Ah niente, dai scherzava…saliamo dai, facciamo questa camminata sul Monte Mesco.
Il Monte Mesco. Cavolo, mi ha anche mandato un sms di avviso: “scarpe comode, se ci va, saliamo per la passeggiata del Mesco”. Ho raccolto un po’ di info. Sembra non essere una camminata dura, conduce ad un altro paesino e poi il trenino dei monti ti riporta a Levanto, se non hai più fiato. Saliamo dai, che tra un poco, se siamo umani terreni, non avremo più argomenti di cui parlare!
Saliamo, saliamo. Il fiato si fa grave e spregiudicatamente lascio parlare lui, non ho voglia di soffiare come una mucca arrabbiata durante la salita.
Dal porto abbiamo preso un sentiero che si arrocca tra le case e gira attorno al castello, lascia intravedere possibilità panoramiche strepitose. Tocchiamo le ultime case affacciate su di una rampa ampia a gradoni da cavallo che si restringe in sentiero stretto dal verde, lastricato di grandi selci grigie. Ci incamminiamo e inciampando in qualche piccolo sasso, cresce l’impaccio di trovarsi uno accanto all’altro senza toccarci. Il contatto fisico si è limitato a quello pseudo abbraccio del primo attimo. E pensare che tanti ce ne siamo scambiati tra i tasti. Accadrà se dovrà accadere. Ho l’impressione di piacergli ma, ancora non me lo fatto capire apertamente. A me piace, non lo posso negare, ma non sarò io a fare il primo passo. Non che creda in assurde investiture di ruolo, ma è lui che deve scegliere, è lui che ha una situazione affettivamente complicata. Eufemismo?
Ah! Che posto! Tutte le volte che incontro case come queste, immerse nel verde, accessibili solo a piedi e con un panorama così strepitoso, penso sempre che sarebbe una goduria viverci con tanti libri… ragionamento da singletudine cronica. Arriva anche la fine della salita e io sono stufa di camminare, mi sottrae la possibilità di guardarlo in faccia, di seguire le sue parole, di aspettare un contatto. Il primo sasso a mo’ di panchina darà la forma al mio sedere per molto tempo. E qui ricomincia quel fiume, quel diluvio di parole e tocchiamo l’argomento: i libri. Lo lascio parlare, mi piace il suo timbro di voce e come la modula, come sceglie le parole anche in modo un po’ troppo ricercato, mi piacciono questi concetti precisi che scozzano con i miei, sempre così nebulosi, mi piacciono le sue esperienze di lettura, così diverse dalle miei e così varie da farmi sentire ignorante. Mi piace il nostro modo di scambiare pensieri in libertà, senza remore, senza difficoltà.
- Sai sono contenta che tra di noi ci sia la stessa confidenza che avevamo acquisito nelle mail, per telefono. Mi sorprende questa cosa, non avrei mai detto.
- Dici? Io trovo naturale tutto questo.
Spero proprio che non mi fraintenda, anch’io trovo naturale tutto questo, come trovo naturale dirgli che non sarebbe successo con tutti, “sei tu che riesci a farmi stare così”. Chissà se questo lo capisce anche senza le mie parole? No, non penso. Penso proprio di non piacergli. Penso proprio che creda d’aver fatto un grosso errore ad incontrarmi. Non ha interesse per me. Sono qui, accanto a lui da ore, il sole sta scendendo, e non mi ha mai sfiorato una mano, un ginocchio, non ha mai avvicinato le sue labbra alle mie e non lo farà. La conversazione è durata un sacco e non c’è alcun segno che possa essere sostituita da altro. È così? oppure, anche lui, come me, aspetta che qualcosa accada? Aspetta forse che sia io a fare la fatidica, adolescenziale, prima mossa?

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