martedì 11 settembre 2007

Diario di viaggio: Normandia e Bretagna - Luglio 2007 (XI PUNTATA)

26 luglio 2007


Ci svegliamo in questa plaga dell’entroterra bretone che ancora piove, diluvia. Facciamo colazione con la luce artificiale come se fosse pieno novembre o febbraio. Ripartiamo, contenti di avviarci verso Casa. Il 26 luglio sarà la nostra ultima data in questo finisterre. Dopo aver lasciato il mar della Manica alle nostre spalle, affronteremo la costa atlantica. La nostra prima tappa, oltrepassata la nebbia, è Quimper – Kemper in bretone. Sì, perché in questa regione della Francia, se non l’ho già detto, si parla ancora, qualcosa di più di un “dialetto”, si parla una vera e propria lingua, che non ha alcun legame di parentela con il francese. È un elemento che ha un forte peso nelle rivendicazioni di autonomia che caratterizzano la regione.

La città di Kemper è molto poco “normanna”, ha un carattere forte, un misto di contemporaneo, francese e angolsassone, e forse è proprio questo il tipico carattere “bretone”.
Il cielo è grigio, la città pure. Un po’ come lo era Morlaix, ma con più opulenza, con più globalizzazione.
Per strada di nuovo segni dell’oggi: punkabbestia con i cani d'ordinanza, donne con il velo, facce da galera. Non più balconi e giardini fioriti, non più quella dimensione di sana ruralità. Vivono anche caratteri francesi “nazionali” come la cattedrale gotica con le sue vetrate - dalla facciata serrata dai ponteggi - , il mercato coperto con tantissimi banchi di goloserie - dal formaggio al vino, dal pesce fresco alla carne -, le solite case in traliccio dai colori sgargianti, isolate da altre moderne e anonime. Nelle vetrine e sulle bancarelle, simboli celtici che tentano di risorgere dallo sgradito uso nazista, per tornare echi di un orgoglio regionale.
Girovaghiamo un po’, sgranocchiamo schifezze per strada e ci avviamo di nuovo verso la macchina. Unico intoppo verso la dipartita: un grande magazzino di casalinghi, dove costringo Nathan a fare shopping. Sono sempre ricercata nel portare a casa souvenir, e cosa di più ricercato di un oggetto che per gli indigeni è comune e per noi è desueto? Cos’ho comprato? Una traversina! Icchell’è? Nemmeno io lo sapevo che si chiamava così fino a che la commessa a cui Nath l’ha domandato ha fatto:
- “Ahhh!! Uiii-uiii-le-traverseeenn!”
- “Eh??” ho fatto io, che intuendo la parola “traversina”, che nella mia lingua conosciuta è un pezzo di rotaia!
- “Il cuscino, si chiama traversina!!”
Ebbene ho comprato “il” cuscino alLa Francese – cosa c’è di male? Sono o non sono La Francese! È quell’elemento tubolare, lungo tutto il letto, che abbiamo trovato ogni santa volta nei letti in terra francese, e che spesso, nelle camere più accoglienti, veniva coordinato da due grandi cuscini quadrati che servono- a mia interpretazione – per leggere a letto.
Quindi, spesi i mie 40€ per cuscino e cambio di federe, ci siamo avviati con un “sachet” enorme verso l’automobile e abbiamo abbandonato l’ingombrante pacco sul sedile posteriore, purtroppo, piegandolo in due, col timore di estrarlo all’arrivo a casa, con una temibile piega centrale.

Il nostro viaggio prevede di visitare Pont-Aven e Carnac, ancora due tappe d’obbligo bretoni e riprendere l’indomani la strada del ritorno in Italia, passando da sotto Parigi, visitando qualcuna delle grandi città che incontriamo lungo il percorso autostradale.
Perché Pont-Aven e Carnac? La prima in quanto rifugio di Gauguin prima della definitiva Polinesia francese e la seconda perché sede di uno dei maggiori concentramenti al mondo di menhir e dolmer, forme di inquietante vita primitiva.

La prima tappa – si può dire? – è un po’ ‘na sola. Classica meta da comitiva turistica in gita della domenica. Un piccolo paese, strapieno di gallerie d’arte che tentano di vendere, in nome della gogheniana scuola di Pont-Aven - presente no, questi quadri del periodo Bretone? - in ordine inverso, biscotti e quadri. Sì, biscotti! Sembrano particolarmente in voga scatole di latta con riproduzioni di opere d’arte sui coperchi, contenenti burrosissimi biscotti. Ne abbiamo comprate anche noi, certo! Non ci crediate così snob! …solo che noi, li abbiamo presi al supermercato, i biscotti.
Pont-Avent è biscotti, galleristi e mulini.
Due o tre mulini, cristallizzati nelle angolature espressioniste restituite del “grande pennello” di Paul. Triste. La tristezza c’ha invaso a tal punto da accettare di mangiare l’invenduto pseudo-croque-monsieur seduti su una panchina e bere poi in un bar da indigeni, triste e scuro come il cielo mai sereno di questa terra.
-“Ci siamo trattenuti anche troppo in questo posto, Nath andiamo!”

Ripartiamo per gli allineamenti di Carnac. Ammetto che se non fosse stato per la guida, io non sapevo nemmeno cosa fossero. Sono dei siti preistorici, addirittura precedenti alle piramidi egizie, costituiti per quel che riguarda i menhir da “allinemanti” di pietre allungate infilzate nel suolo ed in parte esposte all’aria, mentre per quel che riguarda i dolmer, sono costruzioni a “casetta”, realizzate da grandi pietre a mo’ di colonna e lastre enormi di copertura orizzontali. Sembra che la zona attorno a Carnac, davanti alla penisola del Quiberon, ne sia piena. Invasa.
Come ci accade spesso, muniti di mappe a scala troppo piccola, con uno informazioni poco dettagliate, giriamo per le strade alla ricerca di segnali stradali che ci portino alla meta. In questo caso però, di segnali nemmeno l’ombra e per di più le strade formano un anello, che gira attorno ai luoghi da visitare e come spesso ci accade, noi, lo imbocchiamo per il verso sbagliato. Giungiamo ad un primo sito che si rivela poco interessante per i resti sia preistorici che contemporanei: La Sedia di Cesare, grandi pietre nel bosco e un campeggio selvaggio di indigeni-prodotti di Banlieu.
Quando per caso, ormai sconfortati dal lungo vagare, ci troviamo davanti al “Grande Allineamento di Carnac”, rimaniamo a bocca aperta. Una distesa di file di pietre, allungate, infisse nel terreno in modo equidistante tra di loro. Stupefacente. Gironzoliamo un po’ lì attorno, pensando a quante generazioni sono state coinvolte per queste realizzazioni, pensando al padre, che da padre, diceva al figlio: “Mi raccomando!! Figlio mio, continua il mio lavoro! Mettile dritte quelle pietre!”.

Quando montiamo in macchina, con l’intenzione di proseguire verso lo chambre d’hôte, ci accorgiamo con lucida analisi comparata che la destinazione per la notte non era quella che avevo sottolineato sulla mappa, bensì un’altra e più vicino.
Meno male che me ne sono accorta prima di giungere alla destinazione sbagliata! Sai quante me ne poteva dire Nath!
… comunque un po’ me ne ha dette lo stesso!!
Tempo un’oretta siamo giunti a Pluméliau, alle case Kerdaniel. Si perché qui si adottano ancora i nomi di località derivate dai nomi delle case e frequentemente si vedono cartelli stradali che riportano la mappa delle collocazioni degli insediamenti. Anche questa zona è desolata e rurale.
La signora Paulette vive in una signorile casa in pietra grigia, austera direi. Ci accoglie sorridente sulla porta di casa. Entriamo e dall’ingresso è immediatamente evidente la singolarità dell’arredamento. Sulla destra si apre un ampio salone con camino e grandi finestre che ci aspetta per la colazione dell’indomani. Saliamo al piano di sopra e la luminosità degli ambienti si riduce. Ci porta in quella che sarà la nostra stanza tramite un corridoio con grandi patchwork alle pareti.
Oltre una tendina di plastica, un disimpegno sul quale si aprono tre porte: la prima porta alla camera da letto, la seconda al solo cesso - un loculo con tazza - la terza alla stanza da bagno con vasca e lavabo. In terra, ovunque, un’alta moquette pelosa. Tutto questo è a nostra disposizione, siamo i soli ospiti di questo week end.
Ci chiudiamo nella nostra stanza con l’intenzione di rilassarci un po’ prima di uscire a cercare qualcosa per cena, in quello che a noi è sembrato un vero deserto. L’arredo della stanza, che ad un prima occhiata ci è parso elegante e misurato, adesso si rivela poco accogliente e scomodo: letto con alto schienale in legno scuro intarsiato, armadio idem con patatine + grandi specchi, tavolino con sedia analogo sulla quale la “sciura” s’è raccomandata di non appoggiare asciugamani bagnati.
Insomma per farla breve dopo una prima impressione, che mi ha portato a cantarne le lodi mi è montata una certa inquietudine, anche grazie alle ultime precisazioni della signora: “la porta è sempre aperta, non la chiudo mai, magari fatelo voi al vostro rientro”.
Sommando nella mente: campagna deserta, in città nessuno per le strade, nemmeno un locale aperto, la porta che non viene mai chiusa, noi gli unici ospiti. Ingredienti per un ottimo giallo con delitto. Rimane da capire chi sarà il morto. Nel chiedermelo ho fatto un errore, quello di confidarlo a Nath, l’Amor Mio. La sua fantasia non ha perso tempo ad aggiungere dettagli incrementanti la mia “fifa”. Ero tanto agitata che ho voluto che facessimo la doccia insieme per non rimanere da sola nella stanza di legno scuro e grandi specchi, inutile dire che ero rigida come un baccalà e che non c’è stato molto spazio per le effusioni d’amore!
Rinfrescati ma non riposati, scendiamo per cercare un ristorante, la signora ci rimpizza di consigli e di una mappa dettagliata. Unico posto, a suo avviso dove poter trovare dei locali per la cena è St. Nicolas Des Eaux. Qui la signora ci prospetta più soluzioni, creperie, ristorante con cucina locale e ristorante/albergo gestito da inglesi. La nostra prima battuta è che gli inglesi non sono proprio da consigliare in fatto di cucina. Però appena siamo giunti sul posto, analizzando il contesto – un canale con tanto di battelli che con una bella giornata di sole sarebbe stato anche carino - perdiamo di vista questo “primitivo” concetto. Visti da fuori, l’albergo ristorante ha un aria più “carina”, si affaccia sul canale con una bella terrazza panoramica, adesso inutilizzabile; la creperie, ha un’aria calda, sembra deserta; il ristorante di indigeni in fondo alla strada invece è super affollato.
La scelta si orienta verso il ristorante “carino” con l’intento di imbastire una serata romantica. Una volta a sedere, ci è evidente quanto ardua sia l’impresa. Il menù è scarso, il servizio lento e il chiasso poco indicato ai bisbigli. Il Bordeau che ordiniamo (anche se stappato lontano dal nostro tavolo), per fortuna, è buono e alla fine ci siamo alzati sazi, rinfrancati dal dolce, inglese.

L’ultimo pensiero prima di addormentarmi è andato al giorno successivo, che ruolo avremmo avuto, noi, in questo noir, delle vittime –“TROVATA GIOVANE COPPIA DI ITALIANI MORTI IN UNA CHAMBRE D’HOTE” - oppure dei colpevoli –“GIOVANE COPPIA UCCIDE UNA ANZIANA TITOLARE DI UNA CHAMBRE D’HOTE”.
Era necessario aspettare l'indomani.

mappa

Nessun commento:

Tour invernale della Sicilia: Siracusa

Leggi anche Tour invernale della Sicilia prima parte (Trapani, Erice, Marsala) seconda parte (Agrigento, Ragusa e dintorni) Siracusa è...