L’interregionale sbuffa e l’Eurostar corre col fiato corto attraverso la pianura e l’Appennino. Frusciano le pagine sotto le dita, ruotano le pupille nelle chiacchiere da seconda classe.
“Dopo un po’ persi la nozione del tempo, felice di essere a casa a piangere per mio padre e a pensare al futuro”
A Bologna chiudo la seicentodueesima pagina di Middlesex di Jeffrey Eugenides, premio Pulitzer 2003.
Collana Best Sellers degli Oscar, romanzone da classifica, non quella merda che di solito sta in vetta, ma un buon prodotto ben confezionato che incassa recensioni, elogi, uno di quei titoli che senti echeggiare in libreria mentre leggi le quarte di autori sconosciuti. Anche se non con quell’ossessionante ripetizione delle solite porcherie prodotte in serie.
Storia di tre generazioni, Middlesex, e di una combinazioni di geni che ha portato alla nascita e all’educazione erotico-sentimentale di Cal (Calliope) Stephanides, ermafrodito di Detroit, discendente di Milton e Tessie (americani di seconda generazione), nipote di Lefty e Desdemona, greci di Turchia. Fratello e sorella, questi, fuggiti da Smirne durante il definitivo attacco dell’esercito riorganizzato da Ataturk, scoprono una reciproca attrazione, che li spinge, sconosciuti a tutti sulla nave che li porta in America, a sposarsi. Nella Detroit bigotta e proibizionista di Ford, Lefty avvia una fortunata quanto promettente attività, prima di contrabbando con il Canada attraverso il lago Michigan, e poi di somministrazione di alcolici. Caduto il probizionismo, Milton, il loro figlio miracolosamente sano, rileverà l’attività del padre e, nel più classico dei sogni americani, si arricchirà mettendo in piedi gli Hercules hot dogs, una catena di fast food disseminati in tutta la nazione. Con il progressivo sbilanciamento della città a favore della popolazione afroamericana, gli Stephanides si spostano a Grosse Point, località esclusiva della costa di quel lago grande come il mare, che farà di Milton il più tipico rappresentante della ricca borghesia americana e repubblicana degli anni sessanta. Qui sua figlia Calliope frequenterà una prestigiosa scuola per ragazze di buona famiglia dove conoscerà l’esplosione della sua controversa sessualità.
Middlesex è un libro costruito con una sapiente consapevolezza nell’utilizzo di una serie di elementi che mirano a farne un romanzo realista ed epico allo stesso tempo. Eugenides mescola gli ingredienti del grande affresco americano inserendo la storia nel contesto storico del proibizionismo, dell’etica ottimista e gretta del fordismo, del mito del self made man e su questi innesta le affollate vicende di personaggi vividi e convincenti. Oltre alla descrizione anatomica di Cal-Calliope e al suo tormentato percorso psicologico, osserviamo da vicino la tenace Desdemona che porta con sé la scatola con i bachi per trasferire anche in America la magia della seta e la sua infallibilità (da realismo magico sudamericano) nel predire il sesso di un nascituro. Seguiamo con il fiato sospeso Lefty e suo cognato che di notte attraversano in auto il lago ghiacciato per i loro “trasporti clandestini”. Ci lasciamo andare alla tenerezza di un Milton che seduce la cugina suonando il clarinetto tra le pieghe della sua pelle nuda. E infine cogliamo l’essenza della gioventù ribelle dedita alla sperimentazione delle nuove droghe in Chapter Eleven, fratello di Calliope.
C’è tutto questo in Middlesex, e molto di più, un frullato di letteratura etno-americana. Non a caso un Pulitzer, come Le ceneri di Angela di McCourt e un quasi-cult, come i racconti di Arturo Bandini, con quel genere di personaggi che per incarnare i più americani tra gli americani, devono portare con sé le radici di un altrove.
Peccato.
Peccato che Middlesex dica di sé: io sono tutto questo, questa ribadita pastorale americana.
Peccato che lo faccia seguendo una strada di facile compiacimento delle aspettative del lettore, peccato che lo faccia senza dire e inventare nulla di nuovo, che in 602 pagine vengano ripetuti i soliti concetti di un’America che accoglie e propone di sé un’identità in continua evoluzione.
Peccato che ci siano i soliti uomini e le solite donne già incontrati in un’infinità di altri romanzi.
Peccato che Eugenides non abbia voluto rompere gli schemi di una letteratura da classifica, più interessata a piacere che a scoprire.
Peccato che dopo tutta quella lentezza di libro corposo si giunga ad un finale frettoloso e percepibilmente raffazzonato, con quel colpo di scena talmente inverosimile… (ovvio che non lo svelo)
Penso questo quando apro il libro di Trevisan che la Francese mi ha regalato mentre il treno lascia dietro di sé la stazione di Bologna. Cerco nuovi schemi e nuovi punti di osservazione. Immagino che il Ponte non mi deluderà. Fra un’ora sarò tra le tue braccia e in macchina, attraversando la città, ti racconterò tutto questo accarezzandoti la gamba e approfittando dei semafori per l'urgenza dei baci.
“Dopo un po’ persi la nozione del tempo, felice di essere a casa a piangere per mio padre e a pensare al futuro”
A Bologna chiudo la seicentodueesima pagina di Middlesex di Jeffrey Eugenides, premio Pulitzer 2003.
Collana Best Sellers degli Oscar, romanzone da classifica, non quella merda che di solito sta in vetta, ma un buon prodotto ben confezionato che incassa recensioni, elogi, uno di quei titoli che senti echeggiare in libreria mentre leggi le quarte di autori sconosciuti. Anche se non con quell’ossessionante ripetizione delle solite porcherie prodotte in serie.
Storia di tre generazioni, Middlesex, e di una combinazioni di geni che ha portato alla nascita e all’educazione erotico-sentimentale di Cal (Calliope) Stephanides, ermafrodito di Detroit, discendente di Milton e Tessie (americani di seconda generazione), nipote di Lefty e Desdemona, greci di Turchia. Fratello e sorella, questi, fuggiti da Smirne durante il definitivo attacco dell’esercito riorganizzato da Ataturk, scoprono una reciproca attrazione, che li spinge, sconosciuti a tutti sulla nave che li porta in America, a sposarsi. Nella Detroit bigotta e proibizionista di Ford, Lefty avvia una fortunata quanto promettente attività, prima di contrabbando con il Canada attraverso il lago Michigan, e poi di somministrazione di alcolici. Caduto il probizionismo, Milton, il loro figlio miracolosamente sano, rileverà l’attività del padre e, nel più classico dei sogni americani, si arricchirà mettendo in piedi gli Hercules hot dogs, una catena di fast food disseminati in tutta la nazione. Con il progressivo sbilanciamento della città a favore della popolazione afroamericana, gli Stephanides si spostano a Grosse Point, località esclusiva della costa di quel lago grande come il mare, che farà di Milton il più tipico rappresentante della ricca borghesia americana e repubblicana degli anni sessanta. Qui sua figlia Calliope frequenterà una prestigiosa scuola per ragazze di buona famiglia dove conoscerà l’esplosione della sua controversa sessualità.
Middlesex è un libro costruito con una sapiente consapevolezza nell’utilizzo di una serie di elementi che mirano a farne un romanzo realista ed epico allo stesso tempo. Eugenides mescola gli ingredienti del grande affresco americano inserendo la storia nel contesto storico del proibizionismo, dell’etica ottimista e gretta del fordismo, del mito del self made man e su questi innesta le affollate vicende di personaggi vividi e convincenti. Oltre alla descrizione anatomica di Cal-Calliope e al suo tormentato percorso psicologico, osserviamo da vicino la tenace Desdemona che porta con sé la scatola con i bachi per trasferire anche in America la magia della seta e la sua infallibilità (da realismo magico sudamericano) nel predire il sesso di un nascituro. Seguiamo con il fiato sospeso Lefty e suo cognato che di notte attraversano in auto il lago ghiacciato per i loro “trasporti clandestini”. Ci lasciamo andare alla tenerezza di un Milton che seduce la cugina suonando il clarinetto tra le pieghe della sua pelle nuda. E infine cogliamo l’essenza della gioventù ribelle dedita alla sperimentazione delle nuove droghe in Chapter Eleven, fratello di Calliope.
C’è tutto questo in Middlesex, e molto di più, un frullato di letteratura etno-americana. Non a caso un Pulitzer, come Le ceneri di Angela di McCourt e un quasi-cult, come i racconti di Arturo Bandini, con quel genere di personaggi che per incarnare i più americani tra gli americani, devono portare con sé le radici di un altrove.
Peccato.
Peccato che Middlesex dica di sé: io sono tutto questo, questa ribadita pastorale americana.
Peccato che lo faccia seguendo una strada di facile compiacimento delle aspettative del lettore, peccato che lo faccia senza dire e inventare nulla di nuovo, che in 602 pagine vengano ripetuti i soliti concetti di un’America che accoglie e propone di sé un’identità in continua evoluzione.
Peccato che ci siano i soliti uomini e le solite donne già incontrati in un’infinità di altri romanzi.
Peccato che Eugenides non abbia voluto rompere gli schemi di una letteratura da classifica, più interessata a piacere che a scoprire.
Peccato che dopo tutta quella lentezza di libro corposo si giunga ad un finale frettoloso e percepibilmente raffazzonato, con quel colpo di scena talmente inverosimile… (ovvio che non lo svelo)
Penso questo quando apro il libro di Trevisan che la Francese mi ha regalato mentre il treno lascia dietro di sé la stazione di Bologna. Cerco nuovi schemi e nuovi punti di osservazione. Immagino che il Ponte non mi deluderà. Fra un’ora sarò tra le tue braccia e in macchina, attraversando la città, ti racconterò tutto questo accarezzandoti la gamba e approfittando dei semafori per l'urgenza dei baci.
10 commenti:
Lo voglio leggere :)
Ciao Coniglia, occhio a dire così a Nath, è capace di chiederti tra pochi mesi se l'hai letto e nel caso tu non l'abbia fatto incalzarti per farlo...
almeno con me fa così, ed io fatico, fatico, ad abbassare quella pila di libri che desidero leggere :-)
Nath, tesoro! è stato belle risentire le tue parole, risentire le tue mani, i tuoi baci al semaforo...
sul libro ribadisco, sei più snob di me!
bello il post culturalstravagante sui libri del viaggio (tra l'altro mi hai fatto venire voglia di leggerli) però, caro Nath, si vocifera che tu abbia fatto la tua entreè nella famigghia d'oltralpe e che ti sia seduto al desco francese...
vogliamo o non vogliamo saziare la femminea curiosità???
baci
Panz
la notizia è già trapelata?
...è passato un uccellino si vede!
o una rana dalla bocca larga?
...ma se il rospo diventa principe, la rana diventa principessa?
se già era principe alla nascita, la rana resta rana.
continuerà a gracidare i fatti suoi in giro per blogghe.
pipipi
NO.
Non era una rana.
Uff
Era decisamente un uccellino.
pipipi
ma che teneri che siete!!!!
Francese,nessun libro mi spaventa, sono solo una pigra cronica per averli i libri,ma tra le mie mani vengon letti molto rapidamente,anche i più lunghi (ovviamente se son interessanti!!!)
Aaaah e così ci si presenta alle famiglie...?
:)
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