Lunga notte, tra sabato e domenica, ma proprio lunga: dodici ore di sonno filato (a parte quella tua esclamazione urlata in piena notte). Colazione alle undici (missà che son più di dodici allora) e non sto a ripetere gli ingredienti. E tu che telefoni all’orecchio di quel ventre che ti ha generata e che promette succulenti condimenti (la paiata!) e variegati secondi (frattaglie scandalosamente saporite).
Ed è in questa imprevista circostanza che succede. Prima della gita ad Artimino. Prima dei baci sotto gli ulivi. Prima delle foto alla villa medicea, prima delle altre trecentoquarantacinque volte che abbiamo fatto l’amore. Prima della mia partenza.
Il Grande Francese è entrato da quella porta.Teneva una cassetta tra le mani, il Grande Francese, piena di ogni ben di dio, e avanzava con quel sorriso che gli allungava i baffi grigi. Mi ha detto “ciao Nathan”, proprio così, con quei suoi quieti occhi azzurri, e ti ha consegnato la cassetta per stringermi la mano. Parlava, il Grande Francese, della vita di quei posti, delle faccende pratiche e del destino degli uomini. Ha espresso giudizi, il Grande Francese, e opinioni con la grazia e la cautela di un uomo misurato e sereno. E ha ancora sorriso, il Grande Francese, in quel modo largo dell’uomo soddisfatto.
E per due volte, per due lunghissimi momenti, ha allungato la sua mano paterna e l’ha adagiata sulla mia spalla.
1 commento:
ommmammina! io mi sono commossa un'altra volta...
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